Il grande sogno di Maya (Garasu no kamen),
Maya, Masumi e tutti gli altri personaggi sono proprietà
di Suzue Miuchi, Hakusensha Inc. Tokyo, Tohan Corporation, Orion e
quanti aventi diritto alla divulgazione e pubblicazione del Manga
medesimo. Questa fanfiction è stata creata senza fini di
lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti vorranno
leggerla.
Nessuna violazione del copyright si ritiene, pertanto,
intesa….
PREMESSA: Quanto qui narrato prende spunto, come punto di partenza, dagli avvenimenti raccolti nel volumetto n. 37 i cui riferimenti, espliciti, troverete esposti in corsivo. Il resto della storia e mera e pura fantasia, ovvero tutto ciò che la mia mente ha deciso di partorire. Buona lettura!!!
***
L’ennesimo
lampo a squarciare il cielo, il rimbombo del tuono a far tremare le
fragili pareti di legno del piccolo Tempio. Maya, gli occhi colmi di
dolorosa comprensione, osservava smarrita la schiena di Masumi
Hayami, intento ad attizzare il fuoco dell’arcaica stufa a
legna. Faceva freddo, un dannato freddo in quell’angusta e
polverosa stanza, ma Maya non lo avvertiva più. La
consapevolezza di lui, del suo amore per quell’uomo che,
stupidamente, si era convinta per anni di odiare, l’aveva
travolta quanto il fortunale che si dibatteva contro le pareti di
quel rifugio improvvisato. Sentiva l’odore pungente del suo
dopobarba, ogni volta che aspirava, raggiungerle le nari attraverso
lo spesso tessuto dell’impermeabile che l’uomo le aveva
prestato. Era una strana sensazione, lo sapeva, quella che avvertiva.
Sotto quel semplice capo di abbigliamento, troppo grande e
ingombrante per lei così minuta e piccina, indossava solo un
paio di slip ma non provava imbarazzo, come forse avrebbe dovuto,
semplicemente… inaspettato calore…
“Che
succede. Qualcosa non va, ragazzina?” si sentì
chiedere all’improvviso, arrossendo imbarazzata all’idea
che lui avesse potuto cogliere, anche se solo per un istante, il
corso dei suoi pensieri.
Scotendo energicamente la testa si
affrettò a negare.
“No. Signor Hayami e il
presidente?” chiese, per sviare il discorso, più che
altro. “Non è stato ancora trovato?”.
Al
solito, la risposta di Masumi fu ficcante e un tantino sardonica.
“Se
lo fosse ora non sarei qui”.
Maya si sentì
bellamente una stupida, che razza di domande andava a fare. Per
evitare di dire altre sciocchezze decise di tenere la bocca chiusa
per un po’. Fu lui, dopo un po’ a spezzare
quell’imbarazzare silenzio.
“Guardi, ragazzina, sembra
che ci troviamo proprio nell’antico Santuario della Dea
Scarlatta” disse infatti, attirando la sua attenzione verso il
soffitto che, illuminato dall’accendino dell’uomo,
mostrava antiche iscrizioni e rappresentazioni iconografiche.
Incuriosita, Maya si avvicinò, studiando incuriosita i
dipinti, mentre Masumi leggeva le iscrizioni. Ad un tratto, con un
sorriso sulle labbra, l’uomo soggiunse, pacatamente “Vorrei
tanto vedere la sua Dea Scarlatta”.
A quell’affermazione
Maya provò un tuffo al cuore. Senza esitazione alcuna si
ritrovò, istintivamente, a rispondere.
“E io
vorrei tanto interpretare una Dea Scarlatta che possa piacerle…”
un’affermazione che lo intuì, lo aveva
spiazzato.
“Curioso che lei mi dica queste cose, ma li non
mi odiava?.
Maya abbassò lo sguardo, stupida che era stata,
aveva passato tanto di quel tempo a riempirlo d’insulti che
ora, mai, avrebbe creduto alle sue parole. Balbettò, confusa
una serie incongruente di parole, per poi abbassare lo sguardo,
vergognosa, e singhiozzare debolmente. Fortunatamente fu lui a trarla
d’impaccio, con un’affermazione altrettanto
sbalorditiva.
“Lei invece mi è sempre piaciuta.
Amo vederla sul palcoscenico”.
Una confessione di cui
avrebbe dovuto rammaricarsi fortemente, considerò Masumi,
della quale tuttavia non riusciva a dispiacersi. Per una volta, una
sola volta cosa gli costava essere sincero con lei? Era così
raro che loro due avessero occasione di parlare, del più e del
meno, da persone civili, quasi amici, anziché punzecchiarsi
come rivali incalliti. Era dannatamente stanco di nascondersi dietro
mille maschere, con lei, avrebbe voluto disperatamente, una volta
sola, non indossarne neanche una. Incurante dello stupore sincero,
dipinto sul volto della giovane, Masumi riprese a parlare, elogiando,
con dovizia di particolari, ogni interpretazione della ragazza a
partire dalla sua prima apparizione sul palcoscenico nel ruolo di
Beth in “Piccole donne” sino alla strabiliante ragazza
lupo Jane in “Lande Dimenticate”, ignorando quanto
rivelatrici fossero le parole da lui usate per esprimere l’emozione
provata nel vederla recitare. Maya, scossa nel profondo da quella
confessione che le dette l’illusione di un sentimento profondo
e speciale, provato dall’uomo nei suoi riguardi, rimase
immobile, come ipnotizzata, ad osservare l’uomo avvicinarsi a
lei e concludere la sua inaspettata confidenza con un “…e
chissà quanto mi piacerà vedere la sua Dea Scarlatta…
chissà quanto…”.
Il tempo parve fermarsi,
per i due, che rimasero immobili a fissarsi negli occhi, entrambi
turbati.
Maya non aveva mai visto quell’espressione dolce e gentile sul volto di lui, mai quella luce particolare nei suoi occhi azzurri di solito così freddi e glaciali. Amico delle Rose Scarlatte, è questo che provi per me? Quanto avrebbe voluto chiederglielo, ma aveva paura una dannata paura di avere frainteso le sue parole, così rimase immobile, ad attendere la mossa di lui, per comprendere, per decidere…
*Maya*. Un turbamento profondo lo colse, poteva leggere la confusione, e un pizzico di inaspettata aspettativa, negli occhi di lei così immensi e innocenti. L’amava, perché continuare a nasconderlo, perché continuare a fingere? Era un codardo, mon aveva avuto mai il coraggio di farsi avanti, di dirle che sì era lui il Donatore di Rose…
Fu
un’istante, forse neanche consciamente voluto, ma che segnò
il destino di entrambi. La mano dell’uomo a salire, di volontà
sua propria, sino a sfiorare il volto delicato della ragazza. Mentre
i profondi occhi neri di Maya si illuminavano all’improvviso e,
in un soffio, sfuggiva alle sue labbra la domanda che da settimane le
bruciava l’anima.
“Siete voi il Donatore di Rose,
vero? Vi prego, ditemi la verita?”.
Masumi rimase scioccato,
tanto da ritrarre bruscamente la mano e voltarle le spalle. Si era
tradito. Si era spinto troppo in là.
“Ti inganni,
ragazzina. Hai frainteso le mie parole” fu la secca risposta,
come se potesse rimediare, in extremis all’errore
commesso.
Maya trasalì a quella fredda affermazione. Se non
fosse stata più che certa, in virtù delle prove che
aveva acquisito al riguardo, della sua reale identità, avrebbe
creduto alle parole di Masumi, tanto fredde e distaccate erano
suonate. Perché? Perché continuava a nascondersi dietro
la facciata del Donatore? Per quale ragione? Decise di giocarsi
l’unica carta possibile per costringerlo a dirle la verità.
“Vi
ho visto posare le Rose sulla tomba di mia madre e poi, il foulard
azzurro lo abbiamo usato solo la sera della Prima e voi eravate
l’unico spettatore in sala” disse determinata, notando il
sussulto che scosse le sue spalle, mentre si irrigidiva come trafitto
da una lama.
Masumi si sentì, improvvisamente, svuotato di
ogni energia. Aveva voluto abbassare la maschera, per qualche minuto,
e ora lo pagava caro. Il sogno era finito. L’illusione di
poterle restare accanto, come un’ombra silente, e di
crogiolarsi in un amore impossibile, infranto davanti alla
sconsideratezza scellerata di una decina di minuti. Perché
negare ancora? Era come tentare di risalire la corrente di una
cascata…
“Sono stato così maldestro?”
chiese, traendo un profondo respiro, prima di voltarsi ad
affrontarla.
Gli occhi neri di Maya si illuminarono
improvvisamente di gioia, a quelle parole che tanto aveva atteso.
Mentre calde lacrime iniziavano a scorrere sulle sue gote arrossate
d’emozione, la giovane negò vigorosamente con la testa,
prima di gettarsi letteralmente tra le braccia dell’uomo, la
stessa reazione di quel lontano giorno, quando lei era “Elen”
e lui solo un corpo solido e forte, senza volto, che la sorreggeva
tra le braccia e la deponeva dolcemente su un soffice divano.
“Sono
felice… sono così felice…” sussurrò
la giovane, tra i singhiozzi, mentre Masumi, turbato oltre modo per
quell’inaspettata reazione da parte della ragazza, stringeva le
braccia intorno al suo esile corpo, sentendola tremare. Tutto si era
aspettato, tranne che Maya potesse reagire in quel modo alla scoperta
della sua identità di Donatore di Rose.
“Ma tu non mi
odiavi, ragazzina?” chiese perplesso, incapace di credere a ciò
che stava accadendo.
“Ho smesso di odiarvi quando ho
scoperto la verità, Sig. Hayami” disse Maya, sollevando
lo sguardo limpido e colmo di gioia, a studiare gli occhi azzurri
dell’uomo confusi e perplessi. Le venne da sorridere, era la
prima volta che le capitava di vedere Masumi Hayami spiazzato ed in
imbarazzo.
Parole che avrebbero dovuto confortarlo ma che invece
lo sprofondarono in un abisso di dolore. Non era lui che Maya stava
abbracciando felice, non era a lui che erano rivolti i suoi occhi
brillanti di emozione, no era a quell’ombra che lui aveva
rappresentato per tutti quegli anni. Il Donatore di Rose, per
assurdo, anche adesso che si era svelato per quello che era non
riusciva ad essere visto da Maya come, semplicemente, un uomo. No, o
era l’inviso Presidente della Daito Art Production o, peggio
ancora, il caro amico, il Donatore di Rose Scarlatte, una sorta di
padre putativo alla quale la ragazza si era attaccata con affetto
sincero, ma che non era affatto il genere di affetto, di amore, che
lui avrebbe voluto generare in lei. Con un gesto un po’ brusco
l’allontanò da sé. Il calore del suo corpo stava
producendo un pericoloso effetto su di lui. Notò la sorpresa
per quel gesto repentino, dilatare le pupille della giovane, ma non
se ne curò.
Qualcosa
lo aveva infastidito, lo sentiva, ma non riusciva a comprendere di
cosa si trattasse. I suoi occhi azzurri erano tornati freddi e
distanti, era come se si fosse pentito di averle concesso quella
confessione, quella verità. Ma perché? Ma che cosa si
era aspettata? Che lui, dopo avere confermato di essere il Donatore
di Rose Rosse, le facesse una dichiarazione d’amore in stile
vittoriano, come quelle che le capitava di recitare, a volte, in
teatro? Sciocca, sciocca che era stata. Hayami era stato chiaro,
amava il suo modo di recitare, amava vederla sul palcoscenico e solo
per questo le aveva sempre mandato quelle rose… eppure….
“Sig.
Hayami, posso chiederle perché mi ha sempre mandato quelle
rose? Perché mi ha sempre incoraggiato in tutti i momenti di
difficoltà? Eppure molti di essi erano stati causati proprio
da lei?” gli chiese dubbiosa, ansiosa di apprendere la
verità.
Masumi, si strinse nelle spalle, quasi con
indifferenza, reindossando la “maschera”
dell’inaccessibile Masumi Hayami della Daito
Production.
“Suppongo per mero egoismo personale,
apprezzando molto vederla sul palco la spronavo a continuare, mi
sarebbe spiaciuto vedere tanto talento sprecato, anche se questo non
avrebbe mai ostacolato i miei affari. Non sono un filantropo,
ragazzina”.
Quella risposta la raggelò. No, non
poteva essere quello il “vero” Donatore di Rose
Scarlatte. Non poteva essere quella la verità? Non poteva
accettarlo….
“No… E’ una menzogna. Non
ci credo…” balbettò ferita, annichilendo innanzi
al gelo dei suoi occhi azzurri. Fu come se il cuore le si frantumasse
in mille pezzi. Una sofferenza che la indusse a rivolgergli parole di
ghiaccio che ferivano l’anima.
“Lei è un
mostro. Mi domando come possa la Sig.na Shiori desiderare sposarla.
Lei le farà conoscere l’inferno” gridò
incurante di mostrare la gelosia per quella donna così
affascinante e sofisticata, la sola alla quale lui riservasse il suo
interesse. Era il cuore sanguinante di un innamorato deluso che
straripava in quell’impeto di rabbia impotente. Accecata dal
dolore, Maya infilò la porta del Tempio precipitandosi nelle
tenebre della notte sotto lo scosciante fiume d’acqua che le
schiacciava i capelli contro il viso. Masumi chiuse gli occhi,
serrando la mandibola. Le aveva distrutto tutte le sue illusioni,
l’aveva ferita come mai gli era riuscito di fare sino ad
allora, e questa volta non avrebbe potuto ricorrere ad un mazzo di
rose per sanare le ferite della sua anima. Vederla fuggire in quel
modo, sotto il fortunale, con indosso solo il suo impermeabile…
era follia. Al diavolo l’orgoglio, al diavolo la Dea Scarlatta,
al diavolo tutto.
“MAYA….”.
Il
vento le sbatteva le foglie strappate ai rami contro il viso, era
incespicata un paio di volte, ma non se ne curava, doveva fuggire da
lui, da quell’amore che la stava annientando per un uomo che
era incapace di provare il più semplice sentimento umano. Il
castello di illusioni che aveva costruito in otto anni era crollato
come una costruzione di fragile sabbia, travolta dall’acqua
dell’oceano dell’indifferenza di lui. Con un senso di
profonda disperazione volse lo sguardo confuso intorno a sé,
cercando di intravvedere tra i rami della fitta boscaglia il
sentiero, illuminato a giorno dallo squarcio bianco nel cielo, mentre
il fragore di un tuono vibrava nell’etere. All’improvviso
un paio di braccia forti e decise la cinse da dietro, stringendola
con forza contro un petto solido e ansimante. Un sussurro arrochito e
disperato al suo orecchio.
“Sì, Maya le darei
l’inferno, solo ora me ne rendo conto, perché non è
lei che amo”.
La giovane trasalì. Avrebbe voluto
liberarsi da quella stretta, da quell’abbraccio inaspettato, ma
non le riuscì di muoversi. Masumi, incurante della pioggia che
gli appiccicava la camicia contro il petto, la costrinse a voltarsi,
continuando a tenerla tretta per la vita, mentre con una mano le
sollevava il viso, così da poter vedere i suoi occhi neri così
tremendamente espressivi. Lesse confusione in quelle iridi scure,
confusione e dolore. Era giunto il momento di pagare, sino in fondo,
il prezzo della sconsiderata pazzia che lo aveva indotto ad
innamorarsi di lei.
“Ti ho mentito. Io non voglio essere il
padre che non hai avuto, Maya. Io non voglio essere il silente
benefattore che si accontenta di vederti recitare su un palcoscenico,
fingendo che la passione che trasponi nei tuoi personaggi sia rivolta
a me. Io voglio te, ragazzina. Sono stato tanto pazzo da innamorarmi
di qualcuno che mi odia con tutta l’anima, di qualcuno che ha
undici anni meno di me, il mio personale inferno…”
quanta rabbiosa sofferenza in quelle parole, che… rimase
rimasero sospese tra loro, mentre Maya lentamente comprendeva il
senso di quell’affermazione.
“Non è colpa tua.
Lo stolto sono stato esclusivamente io.Se sono rimasto nell’ombra
è perché sono un codardo, per non farti fuggire via da
me, più di quanto tu già non facessi. Su, vieni ora,
lascia che ti riconduca al riparo, e non temere, dopo stasera non
riceverai più rose da parte mia” disse in tono pacato,
gettando definitivamente tutte le machere che sino ad allora aveva
gelosamente custodito come ultima barriera per difendersi da lei.
Maya sgranò gli occchi, annichilita dall’intensita
dell’emozione che quelle parole avevano generato in lei.
“Sei
innamorato di me, non di lei?” chiese ad un tratto, ignorando
la pressione della sua mano sulla spalla, che gentilmente la invitava
a seguirlo lungo il sentiero, per tornare al Tempio. “Non ami
lei?” chiese ancora, quasi urlando, mentre con le piccole mani
si aggrappava al colletto zuppo della camicia, ansiosa di una
conferma a quelle parole, senza neanche rendersi conto di essere
passata a darli del tu di botto.
Un sorriso triste increspò,
per un istante, le labbra dell’uomo.
“No, Maya. Non
l’amo. Su vieni, qui si gela”.
“Ma… ma io
ti amo, Masumi e non mi importa niente dell’età, solo
che… mi sono sempre sentita così inadatta, così
insignificante e goffa…” fu, tuttavia, la risposta della
giovane, che non voleva saperne di seguirlo, giacchè temeva
che quella specie di sogno magnifico, che ad un tratto era divenuta
quella serata incredibile, potesse frantumarsi innanzi alla porta del
piccolo Tempio dove tutto era cominciato.
Masumi trasalì
violentemente, prima di chinare la testa e fissare gli occhi di Maya
con uno sguardo severo e profondo.
“Non sai quello che dici,
Maya. Tu scambi la gratitutine per amore. Sei innamorata
dell’immagine che hai del Donatore di Rose, non di me” le
disse severo. Guai lasciarsi irretire da quell’ingenua
confessione, la giovane era talmente confusa da non saper più
discernere i propri sentimenti, folle sarebbe stato dare retta alle
sue esternazioni emotive. “In ogni caso non mi sembra sensato
restare a discutere qui sotto la pioggia. Avanti, torniamo
indietro”.
Maya avrebbe voluto ribattere che non era
gratitutine quello che lei provava, che lo amava sinceramente e
profondamente, come mai avrebbe sospettato, ma si arrese alla
determinazione del suo sguardo. Senza aggiungere altro si lasciò,
con mitezza, ricondurre sino al Tempio, intirizzita e infreddolita
come non mai.
“Sei stata sciocca a fuggire in quel modo. Non
ne avevi già presa abbastanza di acqua?” la rimproverò
severamente Masumi, non appena furono al riparo, e all’asciutto,
accanto alla stufa a legna.
“Non trattarmi come una
ragazzina, non lo sono più, sono una donna adesso”
ribattè seccamente la giovane. Non sopportava che lui
assumesse quel tono da paternale, non ora che aveva scoperto i suoi
sentimenti e quelli di lui. Perché diamine, se entrambi si
amavano, continuavano a comportarsi come se niente fosse accaduto,
come se niente fosse cambiato?
“Con il tuo atteggiamento non
lo dimostri affatto” fu la pronta risposta.
“Piantala
di farmi la predica, non ho bisogno che tu mi faccia da padre, non è
questo che voglio da te” ribattè stizzita la giovane,
incapace di scordare lo scambio di battute avvenuto sotto la pioggia
ed accettare la decisione di Masumi di ignorare bellamente i suoi
sentimenti come se lei fosse una mocciosetta sciocca che non sa
quello che prova o quello che vuole.
Il viso di Masumi divenne una
maschera dura ed impenetrabile, mentre gli occhi azzurri
lampeggiarono pericolosamente.
“Non giocare con me, Maya.
Non stai flirtando con un ragazzino. Io non sono Satomi”
l’ammonì in tono deciso e fermo.
“Hai appena
detto che mi ami, io ti ho confessato di provare le stesse cose per
te, perché allora mi tineni a distanza? E’ per il tuo
lavoro, per l’immagine? So di non essere adatta, so di essere
una ragazza qualunque e per niente sofisticata, ma io….”
Iniziò a dire la giovane.
“Sta zitta…”
un rantolo sommesso, mentre una mano si serrava sul delicato braccio
della giovane e l’altra le sorreggeva il mento, in una presa
delicata ma decisa.
“Non è questa la ragione”
le sussurrò prima che le labbra di Masumi calassero
inaspettatamente su quelle della giovane, quasi con prepotenza. Per
Maya fu un’esperienza travolgente. Avvertire il calore delle
sue labbra che premevano, esigenti, contro le proprie, la pressione
della sua mano sul braccio, le fecero provare un subitaneo ed
istintivo calore che contrastava, e di molto, con la rigida
temperatura della piccola stanza. Con un gemito sommesso si ritrovò
a dischiudere le labbra, quasi inconsapevolmente, avvertendo
l’invasione della sua lingua che, avida, esplorava la sua bocca
e cercava la sua facendola sussultare per l’improvviso e
inaspettato piacere. Maya si sentì sprofondare in un baratro
di languide sensazioni, incapace di contenere l’emozione che la
stava sommergendo ad ondate. Quel bacio era al di fuori della sua
capacità di controllo, non aveva niente a che vedere con
quelli che, quasi per gioco, lei e Satomi si erano scambiati. C’era
un che di insinuante e pericoloso nel modo con il quale Masumi la
baciava, spostava la mano dal suo mento alla nuca, immobilizzandola,
mentre la mano che le cingeva il braccio lasciava la presa per
cingerla, possessivamente, alla vita.
L’aveva baciata per
metterla a tacere, perché dopo tutto quello che si erano detti
il suo self-control era andato a farsi benedire, per spaventarla
anche, affinchè comprendesse quanto pericoloso fosse il gioco
che, inconsapelvomente, stava facendo con lui e non ultimo perché,
dannazione, almeno una volta voleva provare la sensazione di lei
sulle labbra, sulla bocca, un ricordo al quale aggrapparsi, con il
quale tormentarsi, dopo l’inevitabile addio. Ora, tuttavia,
sentendola dolce e cedevole tra le braccia, tutt’altro che
spaventata o reticente, si scoprì vittima dei suoi stessi
intenti. Bruscamente, si staccò da lei. Che dimaine stava
facendo?
Maya annaspò alla ricerca di ossigeno, lasciandosi
andare contro il suo petto per non cadere. Si sentiva privata di ogni
energia e totalmente… stravolta. Con innocente candore levò
il viso a cercare il suo sguardo. Era stato stupendo, meraviglioso,
una sensazione di sintonia e piacere mai speramentati prima. Si
sentiva traboccante d’amore per lui, tutt’altro che
ingenuamente ragazzina, e cielo non ne era affatto dispiaciuta.
Masumi rimase affascinato dal miscuglio di emozioni che balenavano
nelle iridi nere della giovane, un misto di sorpresa, piacere e…
desiderio, salvo poi pentirsene immediatamente.
“Sant’Iddio,
Maya. Sono solo un uomo, smettila di guardarmi in quel modo o non
rispondo più delle mie azioni. I baci platonici non fanno per
me, lo capisci?” ribattè durò.
Maya comprese,
dalla tensione che avvertì in lui, che era giunto al limite.
Non era certa di comprendere sino in fondo l’emozione che gli
vedeva brillare negli occhi azzurri, ma l’istinto le suggerì
di assecondare la sua richiesta.
“Scusami” bisbigliò
confusa, prima di abbassare le braccia lungo i fianchi.
Masumi
trasse un profondo respiro, poi con risolutezza si avviò verso
la porta.
“E’ meglio, per tutti e due, se resto fuori
per un po’” disse deciso, innanzi alla sua espressione
interrogativa.
Maya non ribattè a quell’affermazione,
ma quando lo vide aprire la porta, pronto ad uscire, ebbe
paura…
“Vuoi davvero sposarla?”.
“Maya….”
Il tono di Masumi era severo ed esasperato.
“Ho il diritto
di saperlo” fu la pronta risposta della giovane, rigida e
determinata.
“Che io la sposi o meno non fa alcuna
differenza. Per noi due non c’è futuro. Non ti
permetterò mai di fare una sciocchezza simile” disse
l’uomo con ferrea determinazione, prima di voltarsi, con la
giacca sulla testa a titolo d’improvvisato riparo.
“Non
confondo l’amore con la gratitudine, Masumi. Non sposarla, ti
prego, dammi il modo per dimostrartelo…” fu quasi un
grido, disperato e dettato dal cuore. Masumi si volse lentamente a
cercare il suo sguardo, prima di chianre la testa leggermente, come
oberato da un peso troppo gravoso da reggere.
“Finiremo solo
con il farci del male…” iniziò a dire.
“Dammi
la possibilità di dimostrarti che ti sbagli. Sei rimasto
nell’ombra otto anni, cosa ti costa aspettare ancora un
po’?”.
Non poteva arrendersi, non se sapeva che c’era
una possibilità. Lui aveva detto d’amarla, di
desiderarla, e questo glielo aveva anche dimostrato pochi istanti
prima, perché allora si ostinava a non voler capire?
“E’
follia…”
“Masumi…”
Un lungo
silenzio, spezzato solo dal rumore del vento e della pioggia
battente. Maya si sentiva sospesa ad un tenue filo, un filo la cui
resistenza e stabilità dipendevano esclusivamente da
Masumi.
“Non la sposerò” non disse altro, e
senza permetterle di aggiungere parole, chiuse il battente e se ne
andò, ma a Maya bastava. Non avrebbe sposato Shiori, le
concedeva, si concedeva, il tempo di aspettare e di capire. Ora stava
a lei dimostrargli quanto adulto fosse l’amore che Maya
Kitajima provava in fondo al proprio cuore, per lui. Quando, un paio
d’ore dopo, lui rientrò al Tempio la trovò
placidamente addormentata, accanto alla stufa, il suo lungo
impermeabile strettamente avvolto intorno al corpo. Quale follia lo
aveva indotto a mostrare i suoi sentimenti, a mettersi a nudo a quel
modo con lei? Per non parlare poi il fatto di avere accettato
quell’assurda richiesta. Forse semplicemente perché
l’amava con tutto se stesso, come mai avrebbe creduto di poter
amare e, in fondo, come lei aveva detto, aveva atteso otto anni cosa
gli costava attendere ancora un po’ per scoprire se quell’amore
poteva avere o meno un futuro? Guardando il suo ovale delicato e
dolcessimo, nella quietezza del sonno, si convinse che avrebbe atteso
anche una vita se fosse stato necessario, purchè alla fine lei
fosse realmente… sua.
- FINE -