Il grande sogno di Maya (Garasu no kamen), Maya, Masumi  e tutti gli altri personaggi sono proprietà di Suzue Miuchi, Hakusensha Inc. Tokyo, Tohan Corporation, Orion e quanti aventi diritto alla divulgazione e pubblicazione del Manga medesimo. Questa fanfiction è stata creata senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti vorranno leggerla.
Nessuna violazione del copyright si ritiene, pertanto, intesa….

Schegge di felicità

By Aresian

PREMESSA: Quanto qui narrato prende spunto, come punto di partenza, dagli avvenimenti raccolti nel volumetto n. 37 i cui riferimenti, espliciti, troverete esposti in corsivo. Il resto della storia e mera e pura fantasia, ovvero tutto ciò che la mia mente ha deciso di partorire. Buona lettura!!!

***

L’ennesimo lampo a squarciare il cielo, il rimbombo del tuono a far tremare le fragili pareti di legno del piccolo Tempio. Maya, gli occhi colmi di dolorosa comprensione, osservava smarrita la schiena di Masumi Hayami, intento ad attizzare il fuoco dell’arcaica stufa a legna. Faceva freddo, un dannato freddo in quell’angusta e polverosa stanza, ma Maya non lo avvertiva più. La consapevolezza di lui, del suo amore per quell’uomo che, stupidamente, si era convinta per anni di odiare, l’aveva travolta quanto il fortunale che si dibatteva contro le pareti di quel rifugio improvvisato. Sentiva l’odore pungente del suo dopobarba, ogni volta che aspirava, raggiungerle le nari attraverso lo spesso tessuto dell’impermeabile che l’uomo le aveva prestato. Era una strana sensazione, lo sapeva, quella che avvertiva. Sotto quel semplice capo di abbigliamento, troppo grande e ingombrante per lei così minuta e piccina, indossava solo un paio di slip ma non provava imbarazzo, come forse avrebbe dovuto, semplicemente… inaspettato calore…
Che succede. Qualcosa non va, ragazzina?” si sentì chiedere all’improvviso, arrossendo imbarazzata all’idea che lui avesse potuto cogliere, anche se solo per un istante, il corso dei suoi pensieri.
Scotendo energicamente la testa si affrettò a negare.
No. Signor Hayami e il presidente?” chiese, per sviare il discorso, più che altro. “Non è stato ancora trovato?”.
Al solito, la risposta di Masumi fu ficcante e un tantino sardonica.
Se lo fosse ora non sarei qui”.
Maya si sentì bellamente una stupida, che razza di domande andava a fare. Per evitare di dire altre sciocchezze decise di tenere la bocca chiusa per un po’. Fu lui, dopo un po’ a spezzare quell’imbarazzare silenzio.
“Guardi, ragazzina, sembra che ci troviamo proprio nell’antico Santuario della Dea Scarlatta” disse infatti, attirando la sua attenzione verso il soffitto che, illuminato dall’accendino dell’uomo, mostrava antiche iscrizioni e rappresentazioni iconografiche. Incuriosita, Maya si avvicinò, studiando incuriosita i dipinti, mentre Masumi leggeva le iscrizioni. Ad un tratto, con un sorriso sulle labbra, l’uomo soggiunse, pacatamente “Vorrei tanto vedere la sua Dea Scarlatta”.
A quell’affermazione Maya provò un tuffo al cuore. Senza esitazione alcuna si ritrovò, istintivamente, a rispondere.
E io vorrei tanto interpretare una Dea Scarlatta che possa piacerle…” un’affermazione che lo intuì, lo aveva spiazzato.
“Curioso che lei mi dica queste cose, ma li non mi odiava?.
Maya abbassò lo sguardo, stupida che era stata, aveva passato tanto di quel tempo a riempirlo d’insulti che ora, mai, avrebbe creduto alle sue parole. Balbettò, confusa una serie incongruente di parole, per poi abbassare lo sguardo, vergognosa, e singhiozzare debolmente. Fortunatamente fu lui a trarla d’impaccio, con un’affermazione altrettanto sbalorditiva.
Lei invece mi è sempre piaciuta. Amo vederla sul palcoscenico”.
Una confessione di cui avrebbe dovuto rammaricarsi fortemente, considerò Masumi, della quale tuttavia non riusciva a dispiacersi. Per una volta, una sola volta cosa gli costava essere sincero con lei? Era così raro che loro due avessero occasione di parlare, del più e del meno, da persone civili, quasi amici, anziché punzecchiarsi come rivali incalliti. Era dannatamente stanco di nascondersi dietro mille maschere, con lei, avrebbe voluto disperatamente, una volta sola, non indossarne neanche una. Incurante dello stupore sincero, dipinto sul volto della giovane, Masumi riprese a parlare, elogiando, con dovizia di particolari, ogni interpretazione della ragazza a partire dalla sua prima apparizione sul palcoscenico nel ruolo di Beth in “Piccole donne” sino alla strabiliante ragazza lupo Jane in “Lande Dimenticate”, ignorando quanto rivelatrici fossero le parole da lui usate per esprimere l’emozione provata nel vederla recitare. Maya, scossa nel profondo da quella confessione che le dette l’illusione di un sentimento profondo e speciale, provato dall’uomo nei suoi riguardi, rimase immobile, come ipnotizzata, ad osservare l’uomo avvicinarsi a lei e concludere la sua inaspettata confidenza con un “…e chissà quanto mi piacerà vedere la sua Dea Scarlatta… chissà quanto…”.
Il tempo parve fermarsi, per i due, che rimasero immobili a fissarsi negli occhi, entrambi turbati.

Maya non aveva mai visto quell’espressione dolce e gentile sul volto di lui, mai quella luce particolare nei suoi occhi azzurri di solito così freddi e glaciali. Amico delle Rose Scarlatte, è questo che provi per me? Quanto avrebbe voluto chiederglielo, ma aveva paura una dannata paura di avere frainteso le sue parole, così rimase immobile, ad attendere la mossa di lui, per comprendere, per decidere…

*Maya*. Un turbamento profondo lo colse, poteva leggere la confusione, e un pizzico di inaspettata aspettativa, negli occhi di lei così immensi e innocenti. L’amava, perché continuare a nasconderlo, perché continuare a fingere? Era un codardo, mon aveva avuto mai il coraggio di farsi avanti, di dirle che sì era lui il Donatore di Rose…

Fu un’istante, forse neanche consciamente voluto, ma che segnò il destino di entrambi. La mano dell’uomo a salire, di volontà sua propria, sino a sfiorare il volto delicato della ragazza. Mentre i profondi occhi neri di Maya si illuminavano all’improvviso e, in un soffio, sfuggiva alle sue labbra la domanda che da settimane le bruciava l’anima.
“Siete voi il Donatore di Rose, vero? Vi prego, ditemi la verita?”.
Masumi rimase scioccato, tanto da ritrarre bruscamente la mano e voltarle le spalle. Si era tradito. Si era spinto troppo in là.
“Ti inganni, ragazzina. Hai frainteso le mie parole” fu la secca risposta, come se potesse rimediare, in extremis all’errore commesso.
Maya trasalì a quella fredda affermazione. Se non fosse stata più che certa, in virtù delle prove che aveva acquisito al riguardo, della sua reale identità, avrebbe creduto alle parole di Masumi, tanto fredde e distaccate erano suonate. Perché? Perché continuava a nascondersi dietro la facciata del Donatore? Per quale ragione? Decise di giocarsi l’unica carta possibile per costringerlo a dirle la verità.
“Vi ho visto posare le Rose sulla tomba di mia madre e poi, il foulard azzurro lo abbiamo usato solo la sera della Prima e voi eravate l’unico spettatore in sala” disse determinata, notando il sussulto che scosse le sue spalle, mentre si irrigidiva come trafitto da una lama.
Masumi si sentì, improvvisamente, svuotato di ogni energia. Aveva voluto abbassare la maschera, per qualche minuto, e ora lo pagava caro. Il sogno era finito. L’illusione di poterle restare accanto, come un’ombra silente, e di crogiolarsi in un amore impossibile, infranto davanti alla sconsideratezza scellerata di una decina di minuti. Perché negare ancora? Era come tentare di risalire la corrente di una cascata…
“Sono stato così maldestro?” chiese, traendo un profondo respiro, prima di voltarsi ad affrontarla.
Gli occhi neri di Maya si illuminarono improvvisamente di gioia, a quelle parole che tanto aveva atteso. Mentre calde lacrime iniziavano a scorrere sulle sue gote arrossate d’emozione, la giovane negò vigorosamente con la testa, prima di gettarsi letteralmente tra le braccia dell’uomo, la stessa reazione di quel lontano giorno, quando lei era “Elen” e lui solo un corpo solido e forte, senza volto, che la sorreggeva tra le braccia e la deponeva dolcemente su un soffice divano.
“Sono felice… sono così felice…” sussurrò la giovane, tra i singhiozzi, mentre Masumi, turbato oltre modo per quell’inaspettata reazione da parte della ragazza, stringeva le braccia intorno al suo esile corpo, sentendola tremare. Tutto si era aspettato, tranne che Maya potesse reagire in quel modo alla scoperta della sua identità di Donatore di Rose.
“Ma tu non mi odiavi, ragazzina?” chiese perplesso, incapace di credere a ciò che stava accadendo.
“Ho smesso di odiarvi quando ho scoperto la verità, Sig. Hayami” disse Maya, sollevando lo sguardo limpido e colmo di gioia, a studiare gli occhi azzurri dell’uomo confusi e perplessi. Le venne da sorridere, era la prima volta che le capitava di vedere Masumi Hayami spiazzato ed in imbarazzo.
Parole che avrebbero dovuto confortarlo ma che invece lo sprofondarono in un abisso di dolore. Non era lui che Maya stava abbracciando felice, non era a lui che erano rivolti i suoi occhi brillanti di emozione, no era a quell’ombra che lui aveva rappresentato per tutti quegli anni. Il Donatore di Rose, per assurdo, anche adesso che si era svelato per quello che era non riusciva ad essere visto da Maya come, semplicemente, un uomo. No, o era l’inviso Presidente della Daito Art Production o, peggio ancora, il caro amico, il Donatore di Rose Scarlatte, una sorta di padre putativo alla quale la ragazza si era attaccata con affetto sincero, ma che non era affatto il genere di affetto, di amore, che lui avrebbe voluto generare in lei. Con un gesto un po’ brusco l’allontanò da sé. Il calore del suo corpo stava producendo un pericoloso effetto su di lui. Notò la sorpresa per quel gesto repentino, dilatare le pupille della giovane, ma non se ne curò.

Qualcosa lo aveva infastidito, lo sentiva, ma non riusciva a comprendere di cosa si trattasse. I suoi occhi azzurri erano tornati freddi e distanti, era come se si fosse pentito di averle concesso quella confessione, quella verità. Ma perché? Ma che cosa si era aspettata? Che lui, dopo avere confermato di essere il Donatore di Rose Rosse, le facesse una dichiarazione d’amore in stile vittoriano, come quelle che le capitava di recitare, a volte, in teatro? Sciocca, sciocca che era stata. Hayami era stato chiaro, amava il suo modo di recitare, amava vederla sul palcoscenico e solo per questo le aveva sempre mandato quelle rose… eppure….
“Sig. Hayami, posso chiederle perché mi ha sempre mandato quelle rose? Perché mi ha sempre incoraggiato in tutti i momenti di difficoltà? Eppure molti di essi erano stati causati proprio da lei?” gli chiese dubbiosa, ansiosa di apprendere la verità.
Masumi, si strinse nelle spalle, quasi con indifferenza, reindossando la “maschera” dell’inaccessibile Masumi Hayami della Daito Production.
“Suppongo per mero egoismo personale, apprezzando molto vederla sul palco la spronavo a continuare, mi sarebbe spiaciuto vedere tanto talento sprecato, anche se questo non avrebbe mai ostacolato i miei affari. Non sono un filantropo, ragazzina”.
Quella risposta la raggelò. No, non poteva essere quello il “vero” Donatore di Rose Scarlatte. Non poteva essere quella la verità? Non poteva accettarlo….
“No… E’ una menzogna. Non ci credo…” balbettò ferita, annichilendo innanzi al gelo dei suoi occhi azzurri. Fu come se il cuore le si frantumasse in mille pezzi. Una sofferenza che la indusse a rivolgergli parole di ghiaccio che ferivano l’anima.
“Lei è un mostro. Mi domando come possa la Sig.na Shiori desiderare sposarla. Lei le farà conoscere l’inferno” gridò incurante di mostrare la gelosia per quella donna così affascinante e sofisticata, la sola alla quale lui riservasse il suo interesse. Era il cuore sanguinante di un innamorato deluso che straripava in quell’impeto di rabbia impotente. Accecata dal dolore, Maya infilò la porta del Tempio precipitandosi nelle tenebre della notte sotto lo scosciante fiume d’acqua che le schiacciava i capelli contro il viso. Masumi chiuse gli occhi, serrando la mandibola. Le aveva distrutto tutte le sue illusioni,  l’aveva ferita come mai gli era riuscito di fare sino ad allora, e questa volta non avrebbe potuto ricorrere ad un mazzo di rose per sanare le ferite della sua anima. Vederla fuggire in quel modo, sotto il fortunale, con indosso solo il suo impermeabile… era follia. Al diavolo l’orgoglio, al diavolo la Dea Scarlatta, al diavolo tutto.
“MAYA….”.

Il vento le sbatteva le foglie strappate ai rami contro il viso, era incespicata un paio di volte, ma non se ne curava, doveva fuggire da lui, da quell’amore che la stava annientando per un uomo che era incapace di provare il più semplice sentimento umano. Il castello di illusioni che aveva costruito in otto anni era crollato come una costruzione di fragile sabbia, travolta dall’acqua dell’oceano dell’indifferenza di lui. Con un senso di profonda disperazione volse lo sguardo confuso intorno a sé, cercando di intravvedere tra i rami della fitta boscaglia il sentiero, illuminato a giorno dallo squarcio bianco nel cielo, mentre il fragore di un tuono vibrava nell’etere. All’improvviso un paio di braccia forti e decise la cinse da dietro, stringendola con forza contro un petto solido e ansimante. Un sussurro arrochito e disperato al suo orecchio.
“Sì, Maya le darei l’inferno, solo ora me ne rendo conto, perché non è lei che amo”.
La giovane trasalì. Avrebbe voluto liberarsi da quella stretta, da quell’abbraccio inaspettato, ma non le riuscì di muoversi. Masumi, incurante della pioggia che gli appiccicava la camicia contro il petto, la costrinse a voltarsi, continuando a tenerla tretta per la vita, mentre con una mano le sollevava il viso, così da poter vedere i suoi occhi neri così tremendamente espressivi. Lesse confusione in quelle iridi scure, confusione e dolore. Era giunto il momento di pagare, sino in fondo, il prezzo della sconsiderata pazzia che lo aveva indotto ad innamorarsi di lei.
“Ti ho mentito. Io non voglio essere il padre che non hai avuto, Maya. Io non voglio essere il silente benefattore che si accontenta di vederti recitare su un palcoscenico, fingendo che la passione che trasponi nei tuoi personaggi sia rivolta a me. Io voglio te, ragazzina. Sono stato tanto pazzo da innamorarmi di qualcuno che mi odia con tutta l’anima, di qualcuno che ha undici anni meno di me, il mio personale inferno…” quanta rabbiosa sofferenza in quelle parole, che… rimase rimasero sospese tra loro, mentre Maya lentamente comprendeva il senso di quell’affermazione.
“Non è colpa tua. Lo stolto sono stato esclusivamente io.Se sono rimasto nell’ombra è perché sono un codardo, per non farti fuggire via da me, più di quanto tu già non facessi. Su, vieni ora, lascia che ti riconduca al riparo, e non temere, dopo stasera non riceverai più rose da parte mia” disse in tono pacato, gettando definitivamente tutte le machere che sino ad allora aveva gelosamente custodito come ultima barriera per difendersi da lei.
Maya sgranò gli occchi, annichilita dall’intensita dell’emozione che quelle parole avevano generato in lei.
“Sei innamorato di me, non di lei?” chiese ad un tratto, ignorando la pressione della sua mano sulla spalla, che gentilmente la invitava a seguirlo lungo il sentiero, per tornare al Tempio. “Non ami lei?” chiese ancora, quasi urlando, mentre con le piccole mani si aggrappava al colletto zuppo della camicia, ansiosa di una conferma a quelle parole, senza neanche rendersi conto di essere passata a darli del tu di botto.
Un sorriso triste increspò, per un istante, le labbra dell’uomo.
“No, Maya. Non l’amo. Su vieni, qui si gela”.
“Ma… ma io ti amo, Masumi e non mi importa niente dell’età, solo che… mi sono sempre sentita così inadatta, così insignificante e goffa…” fu, tuttavia, la risposta della giovane, che non voleva saperne di seguirlo, giacchè temeva che quella specie di sogno magnifico, che ad un tratto era divenuta quella serata incredibile, potesse frantumarsi innanzi alla porta del piccolo Tempio dove tutto era cominciato.
Masumi trasalì violentemente, prima di chinare la testa e fissare gli occhi di Maya con uno sguardo severo e profondo.
“Non sai quello che dici, Maya. Tu scambi la gratitutine per amore. Sei innamorata dell’immagine che hai del Donatore di Rose, non di me” le disse severo. Guai lasciarsi irretire da quell’ingenua confessione, la giovane era talmente confusa da non saper più discernere i propri sentimenti, folle sarebbe stato dare retta alle sue esternazioni emotive. “In ogni caso non mi sembra sensato restare a discutere qui sotto la pioggia. Avanti, torniamo indietro”.
Maya avrebbe voluto ribattere che non era gratitutine quello che lei provava, che lo amava sinceramente e profondamente, come mai avrebbe sospettato, ma si arrese alla determinazione del suo sguardo. Senza aggiungere altro si lasciò, con mitezza, ricondurre sino al Tempio, intirizzita e infreddolita come non mai.
“Sei stata sciocca a fuggire in quel modo. Non ne avevi già presa abbastanza di acqua?” la rimproverò severamente Masumi, non appena furono al riparo, e all’asciutto, accanto alla stufa a legna.
“Non trattarmi come una ragazzina, non lo sono più, sono una donna adesso” ribattè seccamente la giovane. Non sopportava che lui assumesse quel tono da paternale, non ora che aveva scoperto i suoi sentimenti e quelli di lui. Perché diamine, se entrambi si amavano, continuavano a comportarsi come se niente fosse accaduto, come se niente fosse cambiato?
“Con il tuo atteggiamento non lo dimostri affatto” fu la pronta risposta.
“Piantala di farmi la predica, non ho bisogno che tu mi faccia da padre, non è questo che voglio da te” ribattè stizzita la giovane, incapace di scordare lo scambio di battute avvenuto sotto la pioggia ed accettare la decisione di Masumi di ignorare bellamente i suoi sentimenti come se lei fosse una mocciosetta sciocca che non sa quello che prova o quello che vuole.
Il viso di Masumi divenne una maschera dura ed impenetrabile, mentre gli occhi azzurri lampeggiarono pericolosamente.
“Non giocare con me, Maya. Non stai flirtando con un ragazzino. Io non sono Satomi” l’ammonì in tono deciso e fermo.
“Hai appena detto che mi ami, io ti ho confessato di provare le stesse cose per te, perché allora mi tineni a distanza? E’ per il tuo lavoro, per l’immagine? So di non essere adatta, so di essere una ragazza qualunque e per niente sofisticata, ma io….” Iniziò a dire la giovane.
“Sta zitta…” un rantolo sommesso, mentre una mano si serrava sul delicato braccio della giovane e l’altra le sorreggeva il mento, in una presa delicata ma decisa.
“Non è questa la ragione” le sussurrò prima che le labbra di Masumi calassero inaspettatamente su quelle della giovane, quasi con prepotenza. Per Maya fu un’esperienza travolgente. Avvertire il calore delle sue labbra che premevano, esigenti, contro le proprie, la pressione della sua mano sul braccio, le fecero provare un subitaneo ed istintivo calore che contrastava, e di molto, con la rigida temperatura della piccola stanza. Con un gemito sommesso si ritrovò a dischiudere le labbra, quasi inconsapevolmente, avvertendo l’invasione della sua lingua che, avida, esplorava la sua bocca e cercava la sua facendola sussultare per l’improvviso e inaspettato piacere. Maya si sentì sprofondare in un baratro di languide sensazioni, incapace di contenere l’emozione che la stava sommergendo ad ondate. Quel bacio era al di fuori della sua capacità di controllo, non aveva niente a che vedere con quelli che, quasi per gioco, lei e Satomi si erano scambiati. C’era un che di insinuante e pericoloso nel modo con il quale Masumi la baciava, spostava la mano dal suo mento alla nuca, immobilizzandola, mentre la mano che le cingeva il braccio lasciava la presa per cingerla, possessivamente, alla vita.
L’aveva baciata per metterla a tacere, perché dopo tutto quello che si erano detti il suo self-control era andato a farsi benedire, per spaventarla anche, affinchè comprendesse quanto pericoloso fosse il gioco che, inconsapelvomente, stava facendo con lui e non ultimo perché, dannazione, almeno una volta voleva provare la sensazione di lei sulle labbra, sulla bocca, un ricordo al quale aggrapparsi, con il quale tormentarsi, dopo l’inevitabile addio. Ora, tuttavia, sentendola dolce e cedevole tra le braccia, tutt’altro che spaventata o reticente, si scoprì vittima dei suoi stessi intenti. Bruscamente, si staccò da lei. Che dimaine stava facendo?
Maya annaspò alla ricerca di ossigeno, lasciandosi andare contro il suo petto per non cadere. Si sentiva privata di ogni energia e totalmente… stravolta. Con innocente candore levò il viso a cercare il suo sguardo. Era stato stupendo, meraviglioso, una sensazione di sintonia e piacere mai speramentati prima. Si sentiva traboccante d’amore per lui, tutt’altro che ingenuamente ragazzina, e cielo non ne era affatto dispiaciuta. Masumi rimase affascinato dal miscuglio di emozioni che balenavano nelle iridi nere della giovane, un misto di sorpresa, piacere e… desiderio, salvo poi pentirsene immediatamente.
“Sant’Iddio, Maya. Sono solo un uomo, smettila di guardarmi in quel modo o non rispondo più delle mie azioni. I baci platonici non fanno per me, lo capisci?” ribattè durò.
Maya comprese, dalla tensione che avvertì in lui, che era giunto al limite. Non era certa di comprendere sino in fondo l’emozione che gli vedeva brillare negli occhi azzurri, ma l’istinto le suggerì di assecondare la sua richiesta.
“Scusami” bisbigliò confusa, prima di abbassare le braccia lungo i fianchi.
Masumi trasse un profondo respiro, poi con risolutezza si avviò verso la porta.
“E’ meglio, per tutti e due, se resto fuori per un po’” disse deciso, innanzi alla sua espressione interrogativa.
Maya non ribattè a quell’affermazione, ma quando lo vide aprire la porta, pronto ad uscire, ebbe paura…
“Vuoi davvero sposarla?”.
“Maya….” Il tono di Masumi era severo ed esasperato.
“Ho il diritto di saperlo” fu la pronta risposta della giovane, rigida e determinata.
“Che io la sposi o meno non fa alcuna differenza. Per noi due non c’è futuro. Non ti permetterò mai di fare una sciocchezza simile” disse l’uomo con ferrea determinazione, prima di voltarsi, con la giacca sulla testa a titolo d’improvvisato riparo.
“Non confondo l’amore con la gratitudine, Masumi. Non sposarla, ti prego, dammi il modo per dimostrartelo…” fu quasi un grido, disperato e dettato dal cuore. Masumi si volse lentamente a cercare il suo sguardo, prima di chianre la testa leggermente, come oberato da un peso troppo gravoso da reggere.
“Finiremo solo con il farci del male…” iniziò a dire.
“Dammi la possibilità di dimostrarti che ti sbagli. Sei rimasto nell’ombra otto anni, cosa ti costa aspettare ancora un po’?”.
Non poteva arrendersi, non se sapeva che c’era una possibilità. Lui aveva detto d’amarla, di desiderarla, e questo glielo aveva anche dimostrato pochi istanti prima, perché allora si ostinava a non voler capire?
“E’ follia…”
“Masumi…”
Un lungo silenzio, spezzato solo dal rumore del vento e della pioggia battente. Maya si sentiva sospesa ad un tenue filo, un filo la cui resistenza e stabilità dipendevano esclusivamente da Masumi.
“Non la sposerò” non disse altro, e senza permetterle di aggiungere parole, chiuse il battente e se ne andò, ma a Maya bastava. Non avrebbe sposato Shiori, le concedeva, si concedeva, il tempo di aspettare e di capire. Ora stava a lei dimostrargli quanto adulto fosse l’amore che Maya Kitajima provava in fondo al proprio cuore, per lui. Quando, un paio d’ore dopo, lui rientrò al Tempio la trovò placidamente addormentata, accanto alla stufa, il suo lungo impermeabile strettamente avvolto intorno al corpo. Quale follia lo aveva indotto a mostrare i suoi sentimenti, a mettersi a nudo a quel modo con lei? Per non parlare poi il fatto di avere accettato quell’assurda richiesta. Forse semplicemente perché l’amava con tutto se stesso, come mai avrebbe creduto di poter amare e, in fondo, come lei aveva detto, aveva atteso otto anni cosa gli costava attendere ancora un po’ per scoprire se quell’amore poteva avere o meno un futuro? Guardando il suo ovale delicato e dolcessimo, nella quietezza del sonno, si convinse che avrebbe atteso anche una vita se fosse stato necessario, purchè alla fine lei fosse realmente… sua.

- FINE -

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