Dragon
Ball, Dragonball Z, Dragonball GT, Bulma, Vegeta e tutti gli altri personaggi
sono proprietà di Akira Toriyama, Bird Studio e Toei Animation.
Questa fanfiction
è stata creata senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti
vorranno leggerla.
Nessuna
violazione del copyright si ritiene, pertanto, intesa….
By Lilly81.
La risacca si infrangeva con un moto placido e gentile,
bisbigliava alle orecchie sonnolenti una nenia senza intermezzi, effondeva
l’aroma del mare dentro le narici ed insaporiva la pelle.
La piccola
finestra, che affacciava sul retro dell’isola, aveva i battenti spalancati ed
incrostati di salsedine.
I materassi gettati a terra erano sorvegliati senza
interesse da una mezza faccia di luna alticcia.
In punta di piedi Crilin si
chiuse alle spalle la porta di legno ed i cardini cigolarono sotto la spinta
inutilmente cauta.
"A quest’ora ci si ritira…?" lo colse di sorpresa la voce
di Iamcha.
L’uomo aveva le braccia incrociate dietro il capo e gli occhi
aperti a scrutare il buio già molto prima del suo arrivo.
Sulla faccia tonda
di Crilin, l’espressione ancora ebbra ed incosciente di chi ha trascorso una
serata che non dimenticherà tanto facilmente.
Si distese anche lui a terra e
si mise su di un fianco con un guizzo febbricitante.
"Sono felice che tu sia
sveglio…" sussurrò per non svegliare Olong e Pual che ronfavano ignari all’altro
lato della stanza, non raggiunto dai flebili raggi della luna.
Iamcha aveva
sufficiente esperienza per capire l’origine di quell’entusiasmo e presentire che
sarebbe stata una notte insonne per entrambi visto che l’amico non si sarebbe
risparmiato nel racconto estasiato di quanto fossero morbidi i suoi capelli
biondi, delicata come porcellana la sua pelle, calde e saporite le sua labbra a
dispetto dei circuiti metallici che imbottivano il suo cervello.
" Non ci
crederai… ma sono riuscito a baciarla… finalmente… dopo tutto questo tempo…"
"Invece ti credo eccome…" fece l’altro senza scomporsi.
Crilin, invece,
aveva perso ogni speranza a riguardo.
Avvicinarsi a 18 e conquistare la sua
fiducia era stato più arduo che ammansire una bestia feroce.
Un’attesa fatta
di piccoli passi e altrettanti all’indietro prima di riuscire a far sbocciare
sulle sue labbra volitive l’increspatura di un timido sorriso.
"Non mi
meraviglia più niente…" seguitò Iamcha "se Bulma è riuscita ad avere un figlio
con Vegeta… non vedo perché tu non possa stare con un cyborg…".
Crilin colse
nella voce dell’uomo un risentimento che avrebbe dovuto essere sotterrato da
tempo.
Da anni era finita la sua storia con l’esuberante scienziata e quando
si erano rivisti in occasione dell’arrivo dei cyborg fino al torneo contro Cell,
c’era stata tra loro amicizia e reciproco rispetto, come se gli antichi
sentimenti non fossero stati altro che questo.
Né l’uno né l’altra sembravano
aver sofferto molto la fine di una storia costellata di litigi e separazioni,
con poca passione e lo stesso affiatamento di due eterni adolescenti.
"Dal
tuo tono si direbbe che la cosa non l’hai ancora digerita bene…"
"Ti sbagli…"
ed era sincero "Bulma è soltanto un’amica che non vedo da molto tempo… ognuno ha
preso la sua strada… mi dispiace abbia scelto una così ardua…"
A Crilin non
piacque il paragone del suo rapporto con 18 a quello che legava Bulma ed il
principe dei saiyan.
Ai suoi occhi innamorati l’algido cyborg appariva
soltanto una fanciulla errabonda e bisognosa di affetto, tutt’altro Vegeta che
non aveva perso l’intrattabilità con cui si era fatto conoscere.
Neanche il dolore e la rabbia innanzi al
figlio trucidato erano riusciti in qualche modo a riscattare la sua
fama.
Nessuno avrebbe mai scommesso un soldo sulla sua redenzione, tranne
Bulma ed il ragazzo venuto dal futuro.
"Vuoi dire che anche io ho preso una
strada troppo dura…?" si voltò ad osservare le ombre sul soffitto.
Iamcha non
aveva intenzione di deprimerlo e perciò sorrise:
"Non preoccuparti… arriva
fino in fondo… e non te ne pentirai… 18 è veramente uno schianto… ne vale la
pena soffrire un po’…"
"Solo adesso mi accorgo di capire Bulma…" mormorò
assorto e Iamcha si voltò a fissarlo con curiosità.
"Quando si ama… tante
cose dell’altro non si vedono più…".
Iamcha trasse allora un profondo
sospiro.
Se Bulma non avesse dato peso ai suoi difetti, a quest’ora sarebbero
stati marito e moglie con tanto di prole a carico, e non avrebbe dovuto cercare
ospitalità dal vecchio eremita in attesa che l’appartamento comprato in città
con tanti sacrifici fosse finalmente agibile.
Il sole era sorto da poco
all’orizzonte e dalla sdraio sulla spiaggia spuntava già l’inconfondibile pelata
dell’anziano maestro.
Un granchio percorse la battigia e si lasciò ghermire
dalla spuma bianca fino a che non scivolò con tranquillità nelle acque fresche e
limpide.
Crilin non aveva dormito per tutta la notte e pure Iamcha fu
insolitamente mattiniero quel giorno.
"E’ un vero peccato tu abbia smesso di
allenarti…" si rivolse il vecchio a quest’ultimo che osservava, con le mani in
tasca, l’amico scudisciare l’aria con colpi rapidi e decisi.
Crilin non aveva
perso l’agilità di un tempo, non potendo permettersi il lusso di sfigurare
innanzi all’androide dagli occhi di ghiaccio, nell’ipotesi questa avesse voluto
sgranchirsi un po’ le gambe.
"C’è un tempo per ogni cosa… il mio è finito da
un pezzo…" rispose allegramente il giovane che riempiva i polmoni con boccate di
salutare aria salmastra.
Da quando i saiyan si erano eretti a paladini della
Terra, chi per uno scopo, chi per la propria vanagloria, non aveva più trovato
spazio sul campo di battaglia.
Meglio battersi allora in ritirata prima di
rimetterci le penne invano.
"Tutti svegli di buon mattino… ed io che pensavo
di essere il primo…!" esclamò Olong con disappunto, seguito a ruota dall’altro
trasformista.
Erano tutti intenti a consumare un’abbondante colazione
all’aperto quando la tartaruga sgusciò dalla porta, scese con flemma i gradini
ed incapace di accelerare il passo non gli restò che urlare:
"Maestro…
abbiamo vinto…!" e andò a sventolare ai piedi dell’anziano il biglietto vincente
di una lotteria.
Nella testa calva di Muten dovette trascorrere qualche
istante prima di rammentare l’acquisto fatto in un bar di Satan City, l’ultima
volta che era stato in città.
"Che bello, siamo ricchi!" esultò Olong.
"E’
solo il quinto premio…" lo spense la tartaruga.
Spiegò poi che il regolamento
imponeva di andarlo a ritirare di persona entro il termine perentorio di venti
giorni.
"Potrebbe essere l’occasione per fare tutti insieme una passeggiata
in città…" commentò il vecchio.
"Così quello che vinci lo sprechi una notte
in albergo per farci dormire tutti…" fece pungente il maialino come al
solito.
Muten allora ebbe l’idea di chiedere ospitalità a Bulma.
Sarebbe
stata l’occasione giusta per fare una vecchia rimpatriata, dato che erano
trascorsi due anni dall’ultima volta che l’avevano vista, in occasione della
partenza di Trunks con la macchina del tempo, ma il suo entusiasmo non contagiò
nessuno dei commensali.
"Non è per Bulma… ma ho paura di Vegeta… non voglio
stare sotto il suo stesso tetto…" rabbrividì Olong "piuttosto rinuncio al
premio…".
Pure Iamcha trovò l’idea poco coinvolgente.
Ad un tratto pensò
che rivederla dopo tanto tempo avrebbe potuto compromettere qualche suo
equilibrio.
"Ma non si erano lasciati… chi ci dice che sia rimasto alla
Capsule Corp…?" intervenne Pual.
In effetti nessuno sapeva cosa ne era stata
dell’assurda e sorprendente relazione tra lei ed il principe dei saiyan.
Al
termine del torneo aveva fatto ritorno a casa, ma nulla escludeva che fosse
andato via poco dopo la partenza di tutti gli altri.
Crilin provò a
concentrarsi ma non riuscì a percepire in nessuna parte del globo l’aura di
Vegeta.
"Allora, che aspettiamo a fare i bagagli…?" si alzò l’arzillo
vecchietto.
Iamcha era sul punto di dire che sarebbe rimasto alla Kame House
quando Crilin, col volto imporporato e le punte degli indici che si urtavano
pieni d’imbarazzo, disse:
"Se resto qui da solo… può darsi che 18 accetti di
venire…" da tempo il ragazzo sperava che il cyborg si decidesse a lasciare il
rifugio che aveva trovato tra i boschi per godere degli agi di una casa più
accogliente.
"D’accordo!" esclamò il
maestro "vado a nascondere i miei porno… o forse vuoi gettarci un’occhiata prima di…"
e cascarono tutti all’indietro.
* * *
Rotolò di schiena sotto il
suo corpo nudo ed ansante e si lasciò dominare dai lombi esaltati e dai seni che
si ergevano su di lui turgidi e carichi di voluttuosa attesa.
La schiena si
piegò con una movenza di gatta e la lingua andò ad insinuarsi come una serpe nel
solco di uno dei tanti sfregi che adornavano il suo torso.
Poi, come se
quella carne sudata e calda fosse stata incorporea, il principe dei saiyan tornò
a soggiogarla sotto di lui con un ghigno di approvazione.
Le sponde del letto
erano una spiaggia troppo angusta a contenere la marea che avanzava
inarrestabile.
I loro corpi si rincorrevano e si ritrovavano da un lato
all’altro, sospinti da un flusso che li faceva naufragare felicemente in acque
torbide e profonde, come una morte voluta e sospirata a cui andavano incontro
tenendosi per mano.
Quando l’ultima ondata di piacere si fu ritirata e non
restarono altro che i gemiti per risalire a galla, i due amanti si staccarono e
giacquero esausti.
Poi Bulma si mise su di un fianco ed allungò il braccio a
cercare un altro contatto.
"Si può sapere dove sei stato…?" la sua voce era
inebriata, il viso accaldato e soddisfatto.
Vegeta mancava da casa da cinque
giorni.
Una di quelle frequenti e brevi fughe che si concedeva da quando
aveva preso a vivere stabilmente presso la Capsule Corp.
Un modo come un
altro per ribadire le sua natura schiva e misantropa, talvolta alla ricerca di
spazi più ampi in cui far deflagrare la propria energia, altre volte per
smaltire frustrazioni o litigi di coppia.
Questa volta Bulma non ne era la
causa.
Lo aveva visto spiccare il volo di buon mattino per poi non fare più
ritorno.
La ramanzina che teneva pronta da cinque giorni sulla punta della
lingua si era sciolta col fuoco che era divampato tra le sue lenzuola nel cuore
della notte.
Erano le quattro del mattino quando Vegeta era rincasato.
La
finestra della stanza di Bulma era stata lasciata aperta e, senza premeditazione
o ragione che sapesse darsi, la moquette aveva accolto i suoi piedi furtivi e
quatti.
La mezza luna avvinazzata singhiozzava sulle forme generose del suo
corpo, nascoste sotto il velo stropicciato della camiciola lunga.
Le lenzuola
bianche erano un mucchio informe ammassato durante il sonno in un angolo del
letto.
Vegeta era avanzato fin lì, sospinto da quella seduzione innocente e
dalla voglia improvvisa di approfittarne e si era adagiato accanto a lei.
La
bocca si era poggiata nella curva indifesa del collo ed aveva tracciato con la
lingua un percorso tortuoso che dalla spalla declinava al pendio morbido del
petto.
Le ciglia assopite fremettero quando le narici furono investite da un
odore di terra selvatica e sudore maschio.
"Vegeta…" riuscì solo a mormorare
prima che le labbra venissero assalite e le mutandine ridotte a
brandelli.
Alle dieci di quel mattino Bulma ricevette la telefonata
dell’eremita.
Col suo solito brio, gli disse che sarebbe stata lieta di
rivedere tutti quanti.
Anche sua madre, avvertita della visita che avrebbero
ricevuto nel pomeriggio, cinguettò con allegria ed indossò il grembiule da
cucina.
Tutt’altra la reazione del principe dei saiyan.
Per dirglielo,
Bulma aveva approfittato che uscisse dalla stanza gravitazionale per la pausa
del pranzo.
"Resteranno qui anche per la notte… non ti chiedo di restare con
noi tutto il tempo… ma fatti vedere almeno un po’ e comportati
bene…".
Sembrava le stesse molto a cuore far vedere ai suoi vecchi amici come
non fosse più una giovane madre, sedotta e abbandonata, ma una donna che
cresceva un figlio insieme al suo compagno.
Poco importava che Vegeta avesse
per Trunks lo stesso interesse che aveva per il gattino che gironzolava per
casa.
Ciò che contava era che il saiyan fosse rimasto insieme a lei e, poco
alla volta, prendesse a conformarsi alla vita terrestre senza neanche rendersene
conto.
"Non fare alcuna speranza su di me…" le disse con disprezzo "non
resterò in mezzo a voi… anzi… me ne andrò via e ritornerò quando sarà sparito di
loro ogni tanfo…" e con l’asciugamano sulle spalle scomparve oltre la porta
della sua stanza.
* * *
Il vecchio eremita insieme ad Olong,
Iamcha e Pual arrivarono intorno alle due di un pomeriggio molto
afoso.
Quando le porte scorrevoli della Capsule Corp. si aprirono
automaticamente al loro passaggio, li investì l’aria fresca dell’impianto
climatizzato.
Bulma andò loro incontro sfoggiando un abitino di colore
azzurro, un taglio di capelli sbarazzino ed un velo di rossetto sulle labbra
sorridenti.
Il volgere degli anni sembrava avere su di lei un effetto a
rovescio.
Al vecchio Muten si accesero gli ardori di un tempo, mentre Iamcha
per un istante si sentì imbambolato come la prima volta che la conobbe e si
raspò la folta chioma con un gesto imbarazzato.
"Non cambi mai!" colpì Bulma,
con rabbia, la testa pelata del maestro quando sentì un pizzicotto indecente nel
mezzo dei posteriori.
Poi li fece accomodare in salotto, mentre la sig.ra
Brief si affaccendava a riempire i bicchieri di aranciata.
Iamcha gettò
un’occhiata circolare alla stanza e si accorse che non erano cambiate molte cose
dall’ultima volta in cui c’era stato.
Il divano era lo stesso sul quale si
era accomodato per tanto tempo, così le tende alle finestre, le pareti
paglierine ed il tavolo rotondo in un angolo della stanza.
Olong, invece, si
guardava intorno con timore, alla ricerca di indizi che svelassero la presenza
del principe dei saiyan.
Niente lasciava trasparire che Vegeta abitasse in
quella casa, per questo si rilassò e tirò con la cannuccia la fresca
bevanda.
Muten sventolò l’assegno che aveva incassato non appena era arrivato
in città, raccontando a Bulma con maggiori dettagli le ragioni di quel
viaggio.
Una modesta cifra che gli avrebbe consentito di vivere nell’agio un
paio d’anni, considerato che prevedeva la compagnia nella sua graziosa casetta
di un altro inquilino dallo sguardo di ghiaccio.
Così ella apprese con
sgomento della passione di Crilin per 18, trovando finalmente la spiegazione al
fatto il ragazzo non avesse voluto utilizzare il dispositivo da lei creato per
disintegrare il cyborg all’epoca delle trasformazioni di Cell.
Giacché nella
mente non riusciva a figurarsi l’immagine di Crilin alle prese con l’ardua
conquista, rise di gusto fino a quando Iamcha non le fece presente, senza
offesa, che pure lei era stata protagonista di una relazione alquanto
discutibile.
Pual allora, per riempire il silenzio calato nella stanza, le
parlò della casa acquistata da Iamcha in periferia e dei lavori che dovevano
essere ultimati prima che fosse abitabile.
"Ma Trunks dov’è…?" chiese
l’eremita dopo essersi dissetato.
"Eccolo qui…" pigolò la sig.ra Brief che
rientrò tenendo la mano ad un bambino piccolo e paffuto, che a sua volta
stringeva tra le dita tozze un dinosauro di gomma.
Tutti si sporsero per
osservarlo meglio.
Non aveva ancora niente dell’aitante fisico del alter ego
venuto dal futuro, ma il ciuffetto dei capelli e lo sguardo serio ed accigliato
tradivano quello che un giorno sarebbe diventato:
"Tesoro mio… vieni dalla
mamma!" gli spalancò le braccia.
Il bambino si staccò dalla nonna e andò a
nascondere la testa contro il grembo materno.
Lei lo coccolò con mille moine
e gli scarmigliò i capelli:
"Non fare così… non devi aver paura… questi sono
i miei amici…".
Il bambino li osservò ad uno ad uno elargirgli un sorriso di
incoraggiamento.
Poi tornò a nascondersi contro il suo petto:
"E’
veramente cresciuto…" esclamò Iamcha "sa parlare…?"
"Certo che parla… ha
ormai tre anni… avanti piccolo… fai sentire come conti fino a
cinquanta…"
"Così tanto…?" fece Olong "allora ha preso tutto dalla
mamma…!"
"E il padre che fine ha fatto…?" la domanda di Muten chiuse tutti in
trepidante attesa.
Bulma scalpitava da un pezzo di informare i compagni sulle
novità che la riguardavano.
Era sul punto di dare fiato alle corde quando il
principe dei saiyan attraversò la stanza in direzione della cucina.
Olong
allora si mosse con preoccupazione sul divano, Muten restò impassibile dietro le
lenti scure, mentre Iamcha ebbe un lampo di sorpresa nello sguardo.
Il
piccolo Trunks, invece, tornò a serrarsi al collo della madre.
Bulma era
convinta che il saiyan se ne fosse andato già via, ma aveva imparato col tempo
quanto quell’uomo fosse imprevedibile.
La notte trascorsa era l’esempio più
eclatante di come anche un saiyan, ed il più terribile, può lasciare carichi di
meraviglia.
Lo vide scomparire in cucina e riaffiorare dopo qualche istante
con in mano una bottiglia d’acqua, poi affettando una sdegnosa indifferenza,
ritornò da dove era venuto.
"Non pensavo ci fosse anche lui…" disse Iamcha
guardando ancora in quella direzione "in giardino non ho visto il trainer
gravitazionale…"
"Gli ho costruito una stanza apposita qui in casa, proprio
in fondo al corridoio…" spiegò la scienziata.
"Siete tornati insieme…?"
chiese Pual.
Bulma sfoderò allora un candido sorriso e raccontò come,
terminato il torneo contro Cell, Vegeta avesse deciso di restare alla Capsule
Corp.
"Poco alla volta ci siamo riavvicinati… del resto come dargli torto…?"
si passò una mano tra i capelli e ravvivò la chioma "chi resiste al mio
fascino…?" e scoppiarono tutti in un’allegra
risata.
In realtà aveva
penato non poco per riconquistare il principe dei saiyan, che deluso ed umiliato
per l’esito della battaglia e per la morte dell’acerrimo rivale era divenuto in
quel periodo ancora più intrattabile.
"Vuoi dire che adesso siete una coppia
normale… che condividete tutto e regolarmente fate quelle cose lì…?" alluse il
maialino trasformista prima di guadagnarsi dalla donna l’immancabile colpo sulla
testa.
* * *
Aveva trascorso buona parte del pomeriggio ad
allenarsi come sempre era abituato a fare.
Aveva deciso che quella
combriccola da quattro soldi che sarebbe dovuta arrivare poco dopo l’ora di
pranzo avrebbe influenzato la sua giornata allo stesso modo di un vento
fastidioso e passeggero.
Bastava evitare di respirare la loro aria e niente
di più.
La Capsule Corp. era abbastanza grande per tenerlo a riparo dalla
loro presenza, senza la necessità di cercare lidi remoti ed inospitali da cui
era tornato solo la notte scorsa, affamato, sudicio e.. con la voglia di
recuperare quello che aveva perso.
Questa volta Vegeta aveva scelto di
restare a casa.
Era da poco calato il crepuscolo, quando, attraversando di
nuovo il soggiorno alla volta della cucina, vide che Bulma ed i suoi ospiti si
erano spostati intorno alla tavola nell’angolo e sfogliavano alcuni volumi di
libri prima che si accorgessero del suo passaggio.
Mentre interrogava il
frigorifero alla ricerca di qualcosa di dissetante, sentì le loro voci
riprendere dove erano state interrotte:
"E’ passato veramente molto tempo…"
diceva il vecchio "quanti ricordi…!"
Bulma aveva avuto la felice idea di
tirare dal fondo del suo armadio vecchie fotografie.
Alcune erano state
raccolte in album dalla copertina di pelle, altre erano disseminate sulla tavola
senza ordine di tempo, tra le risa sulla spiaggetta del maestro ed i volti tesi
nelle pause dei tornei.
Iamcha si accorse che mancavano all’appello molte sue
fotografie, tutte quelle scattate in coppia con lei:
"Mi spiace…" spiegò
Bulma con una certa soddisfazione, anche se aveva perso il sapore di un tempo
"…le ho strappate tutte al nostro ultimo litigio…".
Sulla soglia della porta
che divideva il soggiorno dalla cucina, Vegeta si era fermato con le braccia
conserte e la schiena poggiata allo stipite.
Bulma si accorse di averlo alle
spalle quando vide tutti guardare nella sua direzione:
"Scusami caro… hai
ragione…" cinguettò la vispa sig.ra Brief alzandosi e sistemandosi il grembiule
a scacchi "ritorno subito ai fornelli… la cena sarà servita tra non molto…" e
scomparve in cucina.
Egli rivolse a Bulma una sola delle sue
occhiate:
"Sto solo aspettando… non mangerò insieme a voi… scordatelo…" ed il
mento scattò dall’altra parte in direzione della finestra.
Gli altri
passarono sulla cosa senza scomporsi.
"Guardate qui cosa ho trovato!" esclamò
Pual scartando tra le foto gettate sul tavolo un’immagine sgualcita.
Gli
altri si sporsero a guardare:
"E pensare che temevo di averla persa!" esclamò
Bulma "di Goku ho solo questa fotografia quando era ancora un bambino!".
Quel
nome catturò l’attenzione anche di Vegeta che tornò a guardare il gruppetto
riunito intorno al tavolo.
"Fu un torneo davvero spettacolare…" commentò
Muten "Goku era già molto forte ma ne ha avuta di strada avanti…".
La memoria
dell’eroico compagno fece calare un velo di mestizia sui loro volti.
"Se non
fosse morto… a quest’ora chissà come sarebbe stato forte…" pensò Olong.
Il
sogghigno di Vegeta sferzò il loro udito:
"Se non fosse morto con Cell… lo
avrei ucciso io…".
Iamcha si alzò di scatto e le nocche delle mani si
illividirono.
Stava per cantargliene quattro, ma Bulma disse con
tranquillità, quasi la sua reazione fosse stata fuori luogo o indegna anche solo
di essere considerata:
"Aiutatemi a sistemare tutte queste fotografie... tra
poco si cena…".
Iamcha non riusciva a capacitarsi di come ella tacesse
dinanzi a tanta arroganza.
Con disappunto la osservò sistemare le foto
sparpagliate all’interno di una scatola per scarpe.
La conosceva troppo bene
per credere fosse quello un atteggiamento di sottomissione e non la semplice
forza di chi ci ha fatto l’abitudine.
A distanza di anni non riuscì a meno di
ridomandarsi quale piacere trovasse a stare in compagnia di un uomo che non
aveva rivolto al bambino, intento a giocare sul tappeto non lontano, un briciolo
della sua attenzione.
Neanche per lei Vegeta pareva averne.
Gli sembrava
che tra i due non ci fossero dialogo, complicità… intimità.
Li ritrovava
esattamente come li aveva lasciati due anni prima, freddi e distanti, e concluse
che quel saiyan non meritava tutto ciò che aveva avuto in sorte da quando aveva
messo piede in quella casa.
A lui era toccato quello che un tempo aveva
creduto sarebbe stato il suo: agi, lusso, Bulma, una famiglia.
A lui non era
rimasto niente.
Con sacrifici era riuscito a costruirsi una casa e a condurre
una vita modesta, da un letto all’altro continuava a passare senza trovare
stabilità e piantare niente.
"Le vado a sistemare io…" disse Iamcha "ricordo
bene dove è la tua stanza…".
Solo Vegeta colse in pieno la frecciata che gli
era stata rivolta.
Non mosse un muscolo, ma non gli piacque per niente
l’insolenza con cui il terrestre si mosse in direzione delle camere da letto,
come se quella casa fosse stata la sua.
Con la stessa familiarità e
confidenza che aveva avuto anni addietro accendeva luci, apriva porte e mobili
altrui, dimenticando di essere un ospite e niente altro di più.
Quando fece
ritorno dopo alcuni muniti, vide che il principe dei saiyan era uscito sulla
loggia ad aspettare la cena.
Il piccolo Trunks gli tirò i
pantaloni:
"Iamcha… vuoi giocare con me…?".
Il bambino aveva preso
confidenza con i nuovi arrivati.
Prima che a Bulma venisse l’idea di
sfogliare gli album dei ricordi, l’uomo si era già trattenuto a lungo a giocare
con il bambino in giardino.
Lei gli aveva raccomandato di fare attenzione e
di non perderlo di vista, ed era rimasta molto stupita nel constatare come
Iamcha sapesse trattare bene con i fanciulli.
Il bambino gli fece segno di
sedersi a terra accanto a lui ed azionò il trenino sulle rotaie:
"Ti ha preso
veramente in simpatia…" commentò Bulma, meravigliandosi ancora una volta del
successo che riscuoteva con suo figlio.
"Ma guarda… gli viene naturale… che
aspetti a farne uno anche tu…?" intervenne Olong facendolo arrossire.
"Sono
certa saresti un buon padre…" soggiunse lei.
Anche Vegeta gettò dall’esterno
un’occhiata in tralice alla scena, provando ancora quell’indefinibile sensazione
di fastidio.
Poi la cena fu pronta.
Il saiyan, come di parola, mangiò
fuori seduto sull’amaca, tutti gli altri invece intorno alla tavola nel
soggiorno, compreso Trunks che aveva insistito a mangiare seduto sulle ginocchia
di Iamcha, il quale più volte dovette ribadire a Bulma di non preoccuparsi e di
lasciarlo stare così ancora un altro po’.
Vegeta, sotto il cielo stellato,
ascoltava il loro cicaleccio, il tintinnare delle posate, i brindisi e le risa
che si protrassero oltre il dolce e la frutta.
Anche lui, terminata la cena,
di cui ogni portata gli era stata servita dalla premurosa sig.ra Brief in
anticipo rispetto agli altri commensali, non si ritirò nella sua stanza, ma
continuò ad indugiare sulla terrazza, tra l’amaca e la balaustra, misurandola a
passi lenti e meditabondi, a volte con le mani nelle tasche a guardare
l’orizzonte infuocato dalle luci cittadine, altre volte con un’occhiata sbieca
verso l’interno e la voglia di rovesciare la tavola e farli andare via tutti con
un calcio nel sedere.
Eppure continuava a restare lì, come ad aspettare
qualcosa, come a sorvegliare qualcuno.
E non era il vecchiaccio, che, un po’
su di giri per il vino tracannato, allungava le mani verso le tette scollacciate
di Bulma, ma la spalla di Iamcha, sulla quale Trunks, insonnolito, aveva
reclinato la testa.
"Lo porto a dormire…" si alzò Bulma "avrebbe dovuto
essere a letto già da una pezzo…"
"Vado io… non preoccuparti…" si mosse a sua
volta l’uomo.
"Dallo a me!" la voce di Vegeta ridusse al silenzio i
commensali.
Una punta di gelosia, piccola come una spina nel piede, ma
altrettanto fastidiosa, lo aveva indotto all’estrema contromossa.
Non ce la
faceva più a sopportare la sfrontatezza e l’invadenza di quel terrestre, che non
solo si comportava come fosse a casa sua, ma si arrogava anche ruoli che non gli
competevano per niente.
Bulma lo fissò con incredulità.
Vegeta non aveva
mai voluto saperne di mettere Trunks a dormire.
Diceva fossero cose da donne,
il maschilista.
Lo vide letteralmente strappare il figlio dalle braccia
dell’altro.
Il bambino, disturbato nel sonno, incominciò a piangere e a
tenderle le braccia.
Iamcha osservava la scena senza dire nulla ma in cuor
suo sperava che il saiyan facesse una bella figuraccia davanti a tutti.
"Sei
sicuro di volerlo portare tu…?" fece la donna con diffidenza, sapendolo incapace
a sfilargli anche solo un calzino.
Lo conosceva bene per capire che era stato
l’atteggiamento di Iamcha ad infastidirlo e non la premura improvvisa di
occuparsi di suo figlio.
Ma il saiyan, incurante degli strepiti del bambino,
si era già incamminato verso il corridoio con apparente disinvoltura.
"Fossi
in te andrei a controllarlo…" disse Olong.
Ma Bulma sorrise con
orgoglio:
"E’ suo padre… non lo dimenticate…".
Vegeta si chiuse la porta
alle spalle.
La camera di Trunks era una piccola stanzetta annessa a quella
di Bulma:
"La smetti di frignare come una donnicciola?" e lo gettò nella
culla.
Il bambino singhiozzava forte:
"Non vedo cosa hai da piangere… ti
ho portato a dormire… non a fare la guerra…".
Vegeta lo fissava e gli parlava
come se il figlio fosse stato già grande:
"Dormirai e farai sogni beati… tsk…
riverito come il degno figlio di un principe… neanche a me era riservato un
simile trattamento… ma tu che ne puoi sapere…? Piangi per nulla…".
Trunks non
capiva il senso dei suoi discorsi, eppure, ipnotizzato da quello sguardo così
serio ed importante, ammutolì all’istante.
"Adesso dormi…" concluse
duramente.
Gli aveva girato le spalle quando lo sentì tirare su col naso e
dire:
"Devo mettere il pigiamino…".
Vegeta tornò a guardarlo.
Il
bambino aveva preso da sotto il cuscino il suo pigiama di colore azzurro con
ricamate sul davanti tante piccole tartarughe bianche.
"Su che aspetti?
Spogliati e mettilo…".
Ma innanzi alla sua esitazione, il padre capì che non
era abituato a farlo da solo:
"Quanti vizi hai da tua madre… lo dico che a
volte ti tratta come un essere incapace… avanti fallo da solo e fammi vedere che
sei già grande…".
Incoraggiato da quelle parole, più dure che paterne, dopo
un piccolo sforzo, il ciuffo ribelle riuscì a sbucare dalla maglietta, come un
pulcino arruffato quando l’uovo si schiude.
"Vedi che le cose riesci a farle
anche da solo?".
Si era tolto i calzini e si era infilato all’incontrario i
pantaloncini di cotone.
Poi si lanciò sul cuscino con un sorriso soddisfatto
e felice.
"Non sperare adesso che ti racconti una storia o canticchi la ninna
nanna… io me ne vado… dormi…".
Lasciò accesa la lampada a forma di coccinella
sul comodino accanto.
"Buona notte papà…" lo salutò il bambino.
Vegeta
esitò un istante sulla porta:
"Buona notte…" farfugliò ed andò via.
* * *
Due civette se ne stavano
appollaiate sui rami dell’albero e fissavano la stanza con la finestra ancora
spalancata e le tendine svolazzanti.
Bulma si muoveva all’interno in un
andirivieni tranquillo tra il bagno ed il settimino accanto al letto,
rischiarato dall’abatjour nell’angolo.
"Ti ripeto che non voglio fare niente
di male…" sussurrava Olong a Pual "non voglio spiarla mentre si spoglia… voglio
solo vedere come si comportano lei e Vegeta quando stanno da soli…"
"Certe
cose non dovrebbero farsi comunque…"
"Uffa… solo una sbirciata e poi andiamo
a dormire…".
Iamcha, che aveva intravisto dal giardino due pennuti dalle
facce sospette, indagate le ragioni di quel piantonamento, dopo i rimproveri sul
fatto fosse una cosa assai squallida da fare ed i tentennamenti innanzi alla
prospettiva si sarebbero ritirati nel caso in cui l’atmosfera si fosse fatta
calda, se ne stava ora nascosto tra le fronde ad aspettare la conferma che Bulma
e Vegeta fossero una coppia fredda e misurata anche in camera da letto.
La
convinzione nasceva dal fatto che non riusciva ad immaginarseli diversamente da
come li aveva visti e dalla speranza, un po’ per egoismo un po’ per invidia, che
Bulma non fosse affatto soddisfatta di certi aspetti della sua vita.
"Io
penso che non dormano insieme…" disse Iamcha, il quale aveva già avuto modo di
appurare, quando era andato a sistemare le fotografie proprio in quella stanza,
l’assenza di oggetti personali che appartenessero al saiyan.
Bulma, intanto,
andò a gettare un’occhiata al figlio che dormiva nella stanzetta
annessa.
Vide che i vestiti e le scarpette erano state lasciate all’interno
della culla.
Con un sorriso scorse la piega rovesciata del pigiama.
Poi,
in punta di piedi, riemerse nella sua stanza, diede una spazzolata ai capelli,
si mise nel letto e spense la luce.
"Che vi ho detto?" un fruscio tra le
foglie dell’albero.
"Che delusione… io volevo vedere se si scambiavano il
bacio della buona notte…" mormorò Olong.
"Forse non stanno veramente insieme
come Bulma ci ha raccontato…" disse Pual.
E se ne andarono via tra un
svolazzare di ali.
Quando Bulma rivide la sveglia mancavano venti minuti alle
due.
Allungò il braccio alla ricerca del bicchiere d’acqua che tutte le sere
metteva sul comodino accanto e si accorse che mancava.
Allora, assonnata,
scese in cucina e con un ansito scoprì la presenza di qualcuno:
"Non temere…
sono io…" le disse Iamcha.
L’uomo se ne stava seduto vicino al tavolo a
sorseggiare una lattina di limonata:
"Anche a me è venuta una sete
terribile…".
La vide versarsi da bere e trangugiare con tanta avidità che le
gocce seguirono la linea del mento e bagnarono il pizzo della camicia, leggera e
trasparente, entro la quale era disegnato il suo corpo.
Iamcha si accorse di
nuovo quanto fosse diventata più bella e più donna.
Avrebbe dato molto per
tornare a stringerla come una volta.
In quegli anni non aveva più pensato a
lei, la vita era andata avanti ed aveva avuto altrettante belle ragazze, ma ora
che l’aveva rivista si era risvegliata la nostalgia degli anni che furono ed
un’attrazione più torbida e matura di quella che un tempo aveva avuto per
lei.
"Non riuscivo a dormire…" disse lui "guardavo le pareti della stanza e
ricordavo quando un tempo abitavo qui e stavamo insieme…".
Bulma si accorse
che Iamcha aveva tutta l’aria di voler fare quattro chiacchiere con lei e restò
ad ascoltarlo perché il sonno le era passato.
Forse, pensò, aveva intenzione
di riprendere il discorso sulle fotografie che aveva strappato.
Ci era
rimasto veramente molto male quando glielo aveva detto.
"A volte ho dei
rimpianti… sai…?" seguitò a dire, alzandosi ed avvicinandosi a lei.
Ella si
accorse all’improvviso che la stava fissando con desiderio.
"Quali…?"
automaticamente si strinse e nascose tra le braccia le trasparenze della
camicia.
"Ho tanta voglia di fare l’amore con te…".
Bulma sgranò gli occhi
e dischiuse le labbra senza rossetto.
Iamcha non aveva avuto un simile ardore
nemmeno quando stavano insieme:
"Facciamolo per la prima ed ultima
volta…".
Allora lei scoppiò in una risata che le fece vibrare tutto il
corpo.
"Per un istante mi sei sembrato molto serio…" si asciugò le lacrime
agli occhi.
"Guarda che lo sono… non sto scherzando… le nostre vite si sono
separate da un bel pezzo… ma che male ci sarebbe a tuffarci nel passato solo per
questa notte… non ti chiedo niente di impegnativo… due amici che si ritrovano e
decidono di fare l’amore… se vorrai… domani ritornerà tutto come
prima…".
"Sei il solito impenitente dongiovanni…" gli sorrise "dimentichi un
particolare molto importante… io sono una donna impegnata…"
"Con Vegeta?"
sogghignò sprezzante "non dormite neanche insieme… penso che non gli farebbe né
caldo né freddo sapere che sei andata a letto con un altro uomo… se lui fosse un
tipo diverso non credi che farebbe lo stesso alla prima buona
occasione…?".
Bulma incominciò ad indispettirsi:
"Il fatto non dormiamo
insieme non vuol dir niente… lui ha bisogno dei suoi spazi ed anch’io dei miei…
io e Vegeta stiamo insieme… e stiamo anche bene… la tua proposta poi mi offende…
per chi mi hai presa?".
Iamcha capì di esserci andato molto pesante,
quantunque fosse ancora fermamente convinto di quello che le aveva detto
riguardo a Vegeta.
"Perdonami… forse è perché sono un po’ geloso che tu ti
sia accasata mentre a me non me ne va mai bene una… non riesco ad avere una
relazione che duri più di qualche mese…" e si mise a ridere per sdrammatizzare
l’impietosa figura.
Bulma lo fissò prima scettica, poi alla fine fu
contagiata dal suo sorriso.
La sua proposta era stata così superficiale e
goliardica che non era neanche il caso di preoccuparsene.
Non per questa
sciocchezza Iamcha avrebbe smesso di essere un caro amico e neanche per le
opinioni misere che aveva su Vegeta e sulla loro relazione.
Che poteva
saperne?
Non era con loro quando Trunks lo aveva chiamato la prima volta papà
ed egli era rimasto ammutolito e sedotto da quel suono, che non gli era nuovo ma
neppure così detestato come un tempo, né poteva essere nel letto insieme a loro,
quando facevano l’amore e si tratteneva accanto a lei per tutta la notte senza
andarsene più via, senza più umiliarla come fosse stata una donnaccia qualunque,
ma con la coscienza, sconcertante nel bene e nel male, che ella era diventata
importante al punto tale da non riuscirne più a fare a meno.
Nessuno avrebbe
mai saputo niente di questi piccoli cambiamenti che sconvolgevano le loro
esistenze e così Vegeta sarebbe rimasto sempre lo stesso, glaciale e senza
alcuna possibilità di recupero.
"Come non detto…" si raspò la nuca prima di
andare via "ci ho provato… ma non fa nulla… anche se non sono abituato ad avere
dei rifiuti…".
La lasciò da sola in cucina e restò ancora un altro po’ nel
soggiorno, immerso nel buio, a scrutare il giardino da dietro i vetri della
porta-finestra.
Del sorriso che le aveva rivolto era rimasta ancora
un’increspatura imbarazzata e divertita.
Era sicuro che ella lo avrebbe
rifiutato, anche solo per non contaminare l’amicizia tra loro rimasta, ma non
era riuscito a trattenersi lo stesso dal farsi avanti con intenzioni
ardite.
Fortuna che Bulma l’aveva messa sul ridere o non avrebbe più avuto il
coraggio di guardarla in faccia.
Stava per tornarsene a letto quando dalla
cucina riconobbe, insieme alla voce di Bulma, quella del principe dei
saiyan.
Allora si nascose in un disimpegno occupato da una pianta
artificiale, in un angolo non rischiarato dalla luci provenienti dal giardino.
Lo mossero l’istinto di scoprire cosa si sarebbero detti in quell’incontro
notturno e la preoccupazione che Bulma potesse in qualche modo accennare alla
sua proposta.
Lei si stava versando un altro bicchiere d’acqua allorché alle
spalle le sovvenne una presenza e vide che non si trattava più di
Iamcha.
Vegeta aveva i piedi nudi ed era coperto solo da un leggero pantalone
di cotone.
"Non mi dire che sei venuto per mangiare…" gli sorrise.
"E tu
perché sei qui a quest’ora…?" indugiò lo sguardo per qualche istante sulla
camicia sgualcita della notte e scorse tra le pieghe l’accenno delicato e
morbido di una delle sue mammelle.
"Ho dimenticato di portare un bicchiere in
camera…".
Egli afferrò la bottiglia e si spostò nel salotto, seguito da
lei.
"Anche ieri hai dimenticato di lasciarlo…" Iamcha tra le foglie
sintetiche osservò i loro profili sbozzati dalle luci provenienti
dall’esterno.
Vegeta aveva sollevato la bottiglia e la bevve d'un fiato fino
alla fine.
Bulma si avvicinò a lui da dietro e chinò il capo sulla sua
spalla.
Ora erano congiunti in un’unica sagoma informe.
Iamcha restò di
stucco.
"La scorsa notte sei stato a dir poco fantastico…" la sentì mormorare
piano "non finirò di ripetertelo… ho continuato a pensarci per tutto il giorno…
anche quando ero in compagnia degli altri…"
"Allora la prossima volta ti farò
perdere i sensi e mi approfitterò di te mentre sei incosciente…".
Ma ella
sorrise lo stesso ed il suo fiato caldo gli vellicò la pelle:
"Mmm… anche
questa prospettiva mi piace…".
Iamcha non riusciva a credere alle proprie
orecchie.
Era come se due sculture, sciolte da un sortilegio, si fossero
animate e avessero preso ad articolare parola davanti a lui come comuni mortali,
snudando l’antica passione suggellata nella immobilità marmorea della loro
sostanza.
Per la prima volta Vegeta gli apparve come un uomo qualunque sulla
cui spalla una donna poteva piegare la testa e sussurrare compiaciuta che la
notte trascorsa insieme era stata indimenticabile.
"Quando stamattina mi hai
detto che te ne saresti andato… ho sperato per un istante che davvero tu lo
facessi… mi sarebbe piaciuto essere risvegliata allo stesso modo di
ieri…"
"Ho pensato che dei tuoi amici me ne sarei potuto infischiare lo
stesso anche restando qui… gli ospiti sono loro… non io… faccio quello che
voglio…"
"Però ti sei ingelosito quando Iamcha voleva portare Trunks a
dormire…" insinuò birichina.
L’uomo occultato nell’ombra si mosse con
inquietudine.
"Ma che dici?" fece il saiyan staccandosi da lei e cambiando
discorso "penso semplicemente che Trunks dovrebbe essere già in grado di fare
certe cose da solo… invece lo tratti come un incapace…".
Bulma allora
l’oltrepassò e questa volta lo guardò negli occhi, col piglio ancora
divertito:
"Io credo che tu sia più bravo a combattere che a fare il padre…"
le dita seguirono le linee muscolose delle sue braccia.
Le sagome tornarono
ad essere una massa indefinita.
Iamcha capì che si stavano baciando soltanto
perché percepì i loro ansiti e l’intreccio impastato delle loro lingue.
Prese
a sudare freddo e sperò che se ne andassero via al più presto per essere libero
di sgattaiolare e andare a dimenticare quello che aveva visto.
Vegeta le
abbassò la bretella e succhiò nell’incavo della spalla:
"Vengo io da te o tu
da me…?" sibilò Bulma tremante.
"Né l’uno e né l’altro…" la sollevò con
decisione ed andò a sistemarla sul tavolo rotondo, quello intorno al quale lei
aveva finito di cenare con i suoi ospiti solo alcune ore prima.
"Ma che
fai…?" protestò la donna senza troppo vigore "potrebbe venire qualcuno…".
Non
erano mai stati così sconsiderati al di fuori delle rispettive camere da letto e
qualche volta della stanza gravitazionale.
"Sta zitta…" le assalì le labbra
con un altro bacio.
Iamcha si sentì mancare il respiro.
Scorgeva soltanto
la schiena del saiyan, tinta d’argento dalle luci bianche del giardino, intorno
ai fianchi del quale Bulma aveva già stretto le sue gambe.
Ella non era altro
che l’oscurità verso cui Vegeta si fletteva, il gemito strozzato che vibrava
nell’aria, la mano che si aggrappava alla sua spalla e guizzava poi a
graffiargli la schiena.
"Ti amo da impazzire…" le sentì pronunciare in un
singulto.
Iamcha scivolò a terra con le mani nei capelli.
Non era più il
rimorso per essersi messo a spiare come un bambino qualche confidenza nel cuore
della notte, la consapevolezza di essersi sbagliato sul loro conto, lo
sbigottimento innanzi ad un bacio imprevedibile o l’amaro in bocca per aver
desiderato per un istante di voler essere al suo posto, ma la vergogna di
assistere ad un epilogo così intimo e privato in assoluta impotenza, dove non
bastava chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, perché quell’amplesso
effondeva radiazioni che inquinavano l’aria circostante e gli scorticavano la
pelle stordendolo e mescolandogli il sangue.
Se avesse saputo a cosa andava
incontro, sarebbe rimasto nella casa del vecchio eremita.
Meglio due
impacciati come Crilin e 18, piuttosto che Bulma e Vegeta già così ben
collaudati.
Sentì un gemito più forte, quello di Vegeta, e poi il
silenzio.
Quando rialzò la testa e sbirciò con cautela, lo vide scrutare di
nuovo il giardino dalla porta-finestra.
Ora era il profilo di Bulma, ancora
seduta sul tavolo, ad essere divenuto d’argento.
Si stava alzando soltanto la
spallina perché la camicia non le era stata tolta.
Il petto si sollevava
ancora ansimante ed attese in silenzio qualche minuto prima di rimettere i piedi
a terra.
Così quel corpo indolenzito e sudato fu immerso di nuovo nella
penombra.
"Ritorno in camera… ti aspetto…" ed infine la vide dissolversi come
un fantasma nelle tenebre.
Ma Vegeta restò lì ancora immobile.
Iamcha si
chiese cosa altro stesse aspettando.
Poi, come una schiocca di frusta o un
vento gelido che irrompe d’improvviso, gli sentì dire:
"Vieni
fuori…".
Allora le viscere si liquefecero e la vista si coprì di
nebbia.
Non era possibile che lui se ne fosse accorto e…
"Ehi… dico a te…
vieni fuori…" ripeté mellifluo "lo so che sei nascosto lì dietro…".
Le gambe
erano rimaste paralizzate.
Iamcha non riusciva a credere che fosse tutto
vero.
Non fu più la vergogna per ciò che aveva visto, al contrario questo
giogo si era fatto più lieve, ma la rabbia che Vegeta sapesse e avesse fatto
finta di niente che lo scosse e lo fece uscire dall’ombra:
"Sei un bastardo…
come hai potuto… sapevi che ero qui e non potevo andarmene senza farmi vedere…
se avevi tanta voglia perché non te ne sei andato da un’altra parte…?! Non ti
vergogni?! Sei stato indecente!".
Vegeta sogghignò.
Nella penombra i
tratti del viso non erano distinguibili, ma Iamcha lo conosceva bene per
indovinarne l’espressione:
"Fino a prova contraria sei stato tu quello che si
è nascosto e si è messo a spiarci… certe cose gli adulti non dovrebbero farle…
esattamente cosa volevi scoprire…? Non sono riuscito ancora a capirlo… non hai
messo in conto che avresti potuto vedere anche questo…?"
Iamcha digrignava
torvo:
"Ho sbagliato… lo riconosco… sono stato uno stupido… ma tu non hai
rispetto per niente e per nessuno, neanche per Bulma!".
Vegeta allora si
mosse.
La luce soffusa all’interno dell’acquario vicino gettò un fascio
azzurrognolo sul suo viso.
Era questa l’espressione che Iamcha si aspettava
di vedere: scomparso il ghigno, era rimasta una maschera dura e
imperscrutabile:
"Non venirmi a parlare di rispetto… che questo ti serva da
lezione… alle donne degli altri proponi pure quello che ti pare e piace… ma alla
mia… ti ammazzo se ti azzardi un’altra volta…".
Iamcha allora sgranò gli
occhi e lo vide infine scomparire nel buio.
FINE