Il grande sogno di Maya (Garasu
no kamen), Maya, Masumi e tutti gli altri personaggi sono
proprietà di Suzue Miuchi, Hakusensha Inc. Tokyo, Tohan
Corporation, Orion e quanti aventi diritto alla divulgazione e
pubblicazione del Manga medesimo.
Questa fanfiction è stata
creata senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti
vorranno leggerla.
Nessuna violazione del copyright si ritiene,
pertanto, intesa….
Il
giovane uomo che era divenuto l’unico tramite tra Maya e il suo
Donatore di Rose, aveva avuto, suo malgrado, un passato molto
doloroso. Egli era figlio di Katsuo Tocashi, socio in affari e, in
seguito, amico di Eusuke Hayami. Il loro rapporto era nato quando
erano ancora giovani e le loro strade avevano incrociato quelle di
Ichiren Ozaki e di Chigusa Tsukikagge.
La prima della Dea
scarlatta al teatro Gekko li aveva irrimediabilmente soggiogati; ma
mentre Eusuke era stato conquistato dal fascino di Chigusa, Katsuo
guardava solo al grande valore dell’opera teatrale del maestro
Ichiren, di cui intravedeva il fulgido futuro.
La sua grande
ambizione portò Tocashi ad assecondare Hayami in tutte
le sue strategie per impossessarsi della Dea scarlatta.
Il
suicidio del maestro Ichiren pose, però, fine alla loro
società. Tocashi rimase sconvolto dall’atto disperato
del maestro. Il senso di colpa s’impossessò di lui e non
volle più occuparsi della Dea scarlatta, dedicandosi ad altri
capolavori del teatro giapponese. La sua decisione, però, non
provocò la rottura dei suoi rapporti con Hayami, che gli
rimase amico devoto.
Gli anni passarono. Tocashi, in seguito a
speculazioni finanziarie azzardate, divenne preda dei creditori che
lapidarono tutto il suo patrimonio.
La vergogna e il timore che i
suoi cari potessero pagare il prezzo più alto della sua
rovina, lo spinsero a tentare il suicidio insieme alla sua
famiglia.
Eusuke Hayami, appresa la notizia del dissesto
finanziario del suo vecchio amico, andò a trovarlo per
offrirgli il suo aiuto. Il suo arrivo provvidenziale riuscì a
salvare la vita a Katsuo e a Karato; vani furono i tentativi di
salvare la moglie e la figlioletta dell’amico; il monossido di
carbonio le aveva uccise.
Katsuo e il figlio, in seguito a quella
vicenda, dovettero sparire. Eusuke Hayami fece perdere le loro
tracce. Pur continuando a vivere in Giappone, cambiarono la
loro vita e la loro identità e la loro famiglia assunse il
nome di Hijiri. Eusuke assunse Katsuo nel ruolo di uomo –
ombra, persona fidata in grado di assumere diverse identità,
pronta ad indagare e a scoprire i punti deboli degli avversari della
potente Daito Art Production. Nessuno udì mai più il
nome del padre o del figlio; vivevano la nuova vita che Hayami aveva
costruito per loro.
Trascorsi gli anni, dopo la morte di Katsuo,
fu la volta di Karato, ormai cresciuto e devotamente legato agli
Hayami, di assumere il ruolo di uomo – ombra, ma non al
servizio di Eusuke, ma del figliastro di questi, Masumi Hayami.
A
quel tempo, la Daito Art Production subiva la concorrenza della casa
di produzione di un ricco personaggio, Takeshi Hidara. Costui era
anche un grande benefattore; organizzava di frequente riunioni e
feste, cui partecipavano persone sensibili e facoltose, allo scopo di
raccogliere fondi da destinare all’infanzia del Terzo
Mondo.
Karato partecipò ad uno di quest’incontri
nel ruolo di segretario di un inesistente uomo d’affari
americano di passaggio dal Giappone.
E fu in quest’occasione
che Karato conobbe Shiori Takamiya.
Lei aveva preso parte a questo
convegno quale esponente della nobile famiglia Takamiya, al posto del
nonno che, per motivi di salute, non aveva potuto presenziare.
Shiori
si distingueva tra i presenti per la sua bellezza ed eleganza, ma
piuttosto schiva, sembrava essere a disagio tra tanta gente. Lui,
Karato, si sentiva come un pesce fuor d’acqua tra quelle
persone del bel mondo. Si ritrovarono seduti vicini. Lui l’aveva
notata subito, così bella e con quello smarrimento nei grandi
occhi che la facevano apparire così indifesa.
Karato
si rivolse più volte verso di lei, tentando di avviare una
discussione e ne otteneva soltanto timidi sorrisi, sguardi sfuggenti,
subito fugati dalle lunghe ciglia e un lieve rossore che ne
imporporava le gote di alabastro.
Il commento del giovane
sull’ultimo contributo di un missionario che era rimasto per
ben cinque anni in Africa, a fianco dei bambini strappati alla strada
e all’abbandono, fu l’occasione per rompere il ghiaccio.
Shiori , che conosceva il missionario, parlò a Karato delle
difficili condizioni in cui si era trovato ad operare e dei piccoli e
grandi miracoli ch’egli aveva saputo compiere in quella realtà.
Trascinata dall’argomento a lei tanto caro, aveva dimenticato
il suo naturale riserbo.
Alla fine della serata, chiacchieravano
come due vecchi amici.
Si erano rivisti spesso dopo quella sera.
Avevano scoperto di avere molto in comune: la passione per la
lettura, l’amore per la natura e, soprattutto per
l’affascinante mondo marino, gli stessi gusti
musicali.
S’incontravano nei Giardini imperiali di Tokyo,
sempre nel primo pomeriggio. Era, per entrambi, un appuntamento
irrinunciabile e il ricordo di quegli’attimi riscaldava il loro
cuore fino al prossimo incontro. Innamorarsi e confidarsi il
reciproco sentimento era stato naturale, così come la
rinascita di entrambi a nuova vita: per Karato, quel sentimento
costituiva l’unica possibilità di essere se stesso e di
essere amato per questo; per Shiori, rappresentava la prima
possibilità di vivere in piena libertà quello che
sentiva, lontana dalla protezione affettuosa ma anche condizionante
del nonno. Erano ormai un ricordo i suoi periodi di malinconia, i
suoi attacchi di anemia e di spossatezza. Sembrava essere rifiorita:
gli occhi risplendevano di luce nuova, le sue gote avevano ripreso
colore e sulle sue labbra aleggiava un sorriso costante.
La
trasformazione della nipote non poteva sfuggire al vecchio nonno. Era
stato molto semplice per lui scoprire chi era l’artefice di
quel cambiamento e, ancora di più, avere informazioni su di
lui. Il vecchio signore riuscì a contattarlo e a chiedergli un
incontro.
Karato era un uomo – ombra con un’identità
costruita: era il segretario di un uomo d’affari americano che
nessuno aveva visto. Troppi punti oscuri sul suo passato.
Impensabile un suo qualsiasi rapporto con l’ereditiera
Shiori. Lui non avrebbe mai potuto mantenerle il tenore di vita cui
era abituata. Il nonno di lei espresse con crudezza questi dati di
fatto. Lui, Hijiri doveva sparire se veramente l’amava, non era
certamente in grado di farla felice. Il vecchio samurai era arrivato
perfino a mettergli sotto il naso un ingente assegno per
convincerlo.
Karato strappò l’assegno sotto gli occhi
attoniti del vecchio e gli assicurò che sarebbe sparito dalla
vita della nipote. Scrisse a Shiori poche righe, spiegandole che
doveva partire, andare lontano e che era preferibile che lo
dimenticasse. Era terminato ormai il suo compito presso il signor
Hidara; Karato poteva tornare nell’ombra fino al suo prossimo
incarico. Impossibile per Shiori rintracciarlo.
Innumerevoli volte
Karato l’aveva osservata da lontano, nel parco di casa sua o
nei suoi pellegrinaggi nel “loro” posto, il Giardino
Orientale; ne aveva visto il volto spento, gli occhi colmi di
lacrime, maledicendosi per avere permesso a lei e a se stesso quel
sentimento che lui sapeva, irrealizzabile e, ancora di più per
essere sparito come un vigliacco, senza avere avuto il coraggio di
parlarle. Come spiegare alla donna che amava più di se stesso
che lui non esisteva, che era solo un uomo – ombra?
Gli anni
trascorsero. Karato venne poi a sapere che la promessa sposa
dell’uomo cui si sentiva legato da una gratitudine senza pari,
era proprio la sua Shiori; ma aveva taciuto, senza rivelare ad alcuno
il grande amore che neanche il tempo era riuscito ad
affievolire.
Una volta, trovandosi nella villetta al mare di
Masumi, a Nagano, aveva corso il rischio d’imbattersi in
Shiori, ma era riuscito a sfuggirle, uscendo dalla porta-finestra
della grande sala.
Ora, l’incontro con lei, tanto atteso e
tanto temuto era infine avvenuto.
Dopo cinque anni, quei due
giovani che si erano tanto amati e che si erano lasciati senza una
parola, si trovavano ora una di fronte all’altro.
- continua -