Il grande sogno
di Maya (Garasu no kamen), Maya, Masumi e tutti gli altri personaggi
sono proprietà di Suzue Miuchi, Hakusensha Inc. Tokyo, Tohan
Corporation, Orion e quanti aventi diritto alla divulgazione e
pubblicazione del Manga medesimo. Questa fanfiction è stata
creata senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti
vorranno leggerla.
Nessuna violazione del copyright si ritiene,
pertanto, intesa….
Signor Hayami,
sono stato molto indeciso se scriverle o meno, ma alla fine, per la
prima volta da quando ci conosciamo, ho deciso di contravvenire ai suoi
ordini e agire di mia iniziativa.
Innanzi tutto la questione che più le sta a cuore: lei sta
bene. Abbastanza bene, adesso.
So che certamente vorrà sapere cosa sia successo dopo la
vostra separazione e la nostra partenza. Dal momento in cui
quell’aereo decollò feci come mi aveva chiesto e
tagliai ogni contatto con il Giappone: telefono, carta di
credito… solo i documenti. Prestissimo però,
grazie all’aiuto della persona da lei indicatami fummo in
grado di avere dei nuovi passaporti e nel giro di un paio di settimane,
oltre che in auto, cominciammo a muoverci anche per via aerea e credo
che ormai sia quasi impossibile ricostruire i nostri spostamenti.
Maya mi seguiva in uno stato quasi catatonico. Era presente con il
corpo ma la sua mente era persa chissà dove. Anzi, sappiamo
benissimo entrambi dove fossero rimasti suoi pensieri! Mangiava,
dormiva e faceva tutto quello che era necessario ma per molti giorni
non parlò se non quando interpellata e solo a monosillabi.
Era quasi sempre assorta nei suoi pensieri; lo sguardo rivolto
all’interno, tanto da non accorgersi di quello che la
circondava, della bellezza dei paesaggi che attraversavamo e del fatto
che spesso sembrava di vivere dentro un film. Da parte mia cercavo di
rispettare il suo bisogno di silenzio e non la forzavo; sapevo che
prima o poi la sua volontà e la sua straordinaria
vitalità avrebbero riacceso la fiammella del suo interesse.
In quel periodo non ci fermammo in nessun luogo per più di
una notte. Non ero ancora sicuro di non aver lasciato tracce e sappiamo
entrambi quanto i nemici di Maya siano potenti e pericolosi.
Dopo circa due mesi di vagabondaggi, un giorno mentre stavamo
aspettando di poter salire sull’ennesimo aereo, un piccolo
bimotore che avrei guidato io stesso, assistemmo ad una lite tra una
ragazza e il capomeccanico di quel piccolo aeroporto. La ragazza
gesticolava e urlava mentre l’uomo faceva finta di non
sentirla, ma lei non sembrava intenzionata a lasciar perdere la
questione. Li guardavo distrattamente pensando alla tappa seguente del
nostro interminabile girovagare, quando sentì risuonare
vicino a me una risatina. Mi girai stupito e vidi l’ombra di
un sorriso indugiare ancora negli occhi di Maya. Allora mi interessai
anche io a quello che stava succedendo. La ragazza stava dicendo che
non poteva aspettare che il suo aereo fosse riparato, doveva
trasportare assolutamente un carico importante che era atteso con
urgenza e aveva bisogno di un altro mezzo. L’uomo scosse la
testa e rispose che l’unico aereo al momento in aeroporto era
quello che avevamo affittato noi e che fino all’indomani non
ne sarebbero rientrati altri. La ragazza sembrò accorgersi
solo allora della nostra presenza e si diresse verso di noi. Ricordo
ancora lo scambio di battute che ebbe con Maya perché era la
prima volta che quest’ultima mostrava interesse in qualcosa
da quando eravamo partiti.
“Dove dovete andare?” chiese la ragazza con
decisione.
Maya mi guardò un attimo e poi rispose: “E lei
dove deve andare?”
Lei rispose dicendo un nome mai sentito prima.
“Non lo conosco” disse Maya.
“È un bel posto?”. La ragazza le rivolse
uno sguardo interrogativo.
“L’accompagneremo”.
Io non osai replicare. In fondo un posto valeva l’altro e se
questo era servito a scuotere Maya dal suo torpore, perché
contraddirla!
Scoprimmo durante il viaggio che la ragazza era proprietaria e pilota
di un piccolo Piper che in certi periodi dell’anno era il
solo mezzo di comunicazione tra il luogo dove abitava e il resto del
mondo.
Quella notte dormimmo a casa di Maggie, così si chiama.
Non essendo abituato a quel clima particolare mi svegliai molto presto
e trovai Maya che avvolta in diversi strati di coperte guardava dalla
finestra il panorama selvaggio illuminato da un pallido sole di
mezzanotte.
“Non so perché ma questo posto mi ricorda la Valle
dei Susini, sembra magico” disse in un sussurro quando mi
avvicinai anch’io alla finestra. “Non potremmo
restare qui, Hijiri? Almeno per un po’”.
Risposi di sì. Anche a me quel posto piaceva e oramai
eravamo relativamente al sicuro.
Con l’aiuto di Maggie affittammo una piccola baita non troppo
distante dal paese, completamente circondata dai boschi. Dicemmo di
essere fratello e sorella e nessuno ha mai fatto domande sul
perché e per come avessimo così
all’improvviso deciso di rimanere dopo essere arrivati per
puro caso. O forse la gente di qui sa che il caso non esiste.
Chissà, signor Hayami… Mi sono trovato spesso in
questi mesi a interrogarmi sulla casualità e sul destino
senza tuttavia riuscire a trovare una risposta soddisfacente. Comunque
sia, in un certo senso Maya aveva visto giusto quando aveva accennato
alla magia di questo posto. Le persone, i paesaggi sconfinati, la
natura, tutto sembra pervaso da una specie di aura positiva. I boschi
in modo particolare. Maestosi e primitivi. Pericolosi se non si sa come
affrontarli. Potrà sembrarle un paragone azzardato ma in un
certo senso mi ricordano lei, signor Hayami: apparentemente glaciale e
inaccessibile, ma capace di nascondere nel cuore bellezze
inimmaginabili. Credo che anche Maya abbia colto inconsciamente questa
somiglianza e sia per questo che abbia scelto di rimanere.
I giorni trascorrevano tranquilli tra lunghe passeggiate, letture e
faccende quotidiane. Maya piano piano aveva ricominciato a parlare e
ogni tanto anche a sorridere. Ma raramente faceva il suo nome o parlava
della vita che aveva lasciato e del teatro, e quando inavvertitamente
accadeva si fermava immediatamente troncando il discorso a
metà quasi temesse che i ricordi potessero perdersi
nell’aria insieme al suono delle sue parole.
Partecipavamo poco alla vita del paese. Io, lo sa, sono schivo di
natura e Maya preferiva la solitudine. Apparentemente era tranquilla e
abbastanza serena, ogni notte però, ogni singola notte, la
sentivo piangere fino allo sfinimento nella sua stanza. Ogni singola
notte, da quando eravamo stati costretti a lasciare il Giappone. E
molto spesso, mio malgrado, mi alzavo dal letto e andavo da lei. La
trovavo seduta con le braccia strette attorno alle ginocchia e i denti
serrati nel tentativo di trattenere una sofferenza così
evidente e straziante da far sanguinare il cuore a chiunque la vedesse.
In quei momenti le asciugavo le lacrime e le accarezzavo i capelli in
silenzio fino a che non tornava a coricarsi e allentava la stretta alla
mascella. Non c’erano parole per consolarla,
nient’altro che potessi fare se non farle sentire che io ero
lì per lei, e per lei sola. Avrei voluto fare di
più, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Avrei voluto
confortarla, ma sapevo fin troppo bene che sarebbe stato inutile. Se
è vero che c’è un tempo per ogni cosa,
quello era il tempo del dolore.
Trascorrevo molto tempo a pensare in quel periodo. Analizzavo ogni mia
sensazione cercando di capire quali fossero i miei sentimenti. Le
dirò la verità, signor Hayami, perché
non voglio che ci siano incomprensioni tra di noi. Ci fu un momento in
cui mi chiesi se sarei stato capace di riaccendere la luce nei suoi
occhi, se sarei stato capace di far battere il suo cuore per me. Dopo
tanti mesi di vicinanza e di condivisione mi ero reso conto di aver
cominciato a guardare Maya con occhi diversi. Se prima il mio interesse
era stato esclusivamente per così dire
“professionale”, benché non possa negare
di essere sempre stato affascinato dal suo carattere così
fragile e forte allo stesso tempo e dalla sua determinazione, a quel
punto avevo iniziato a desiderare per me le sue attenzioni. Avrei
voluto che vedesse in me l’uomo e non l’angelo
custode. Avrebbe potuto essere un nuovo inizio per entrambi. In tal
caso sarebbe stato impossibile anche per lei ritrovarci. Ma
benché non si possano comandare i sentimenti o i desideri,
c’è sempre stata dentro di me la consapevolezza
profonda che ciò non sarebbe mai potuto succedere. Maya vive
per lei e di lei e questo non cambierà mai. Io sono un uomo
pratico signor Hayami, mi conosce, e non mi imbarco in una battaglia se
non ho almeno il dubbio di poter vincere. È stato automatico
e quasi indolore passare dall’attrazione
all’amicizia sincera e disinteressata. Sia lei che Maya avete
ora in me un amico sincero, oltre che un fedele collaboratore.
Un giorno, qualche settimana dopo il nostro arrivo, ci ritrovammo per
caso ad un matrimonio e fummo invitati a rimanere. Maya
accettò con un sorriso triste e rassegnato, ma quando si
trovò ad assistere allo scambio delle promesse
improvvisamente proruppe in un pianto furioso e disperato e dovetti
portarla a casa in braccio. Una volta arrivati al riparo tra le pareti
della baita mentre stavo per appoggiarla sul divano, mi chiese di
continuare a stringerla. Io… mi dispiace signor Hayami, so
che questo le farà male e mi detesterà,
acconsentii. Averla lì, abbracciata a me… non
seppi resistere. È strano, signor Hayami, come a volte la
vita si ripeta e sembri intenzionata a prendersi gioco di noi in ogni
modo possibile. Anche lei aveva vissuto un momento simile nella Valle
dei Susini, quindi credo di poter omettere tutto quello che mi si
agitava nel petto. Rimanemmo a lungo stretti su quel divano, fino a che
il pianto di Maya si placò e cominciò a
raccontarmi con voce bassissima tutto quello che era successo nei
giorni precedenti l’attentato al Kid’s Studio.
Mi raccontò della lite furibonda che si era conclusa con un
bacio e la confessione dell’amore inaspettatamente
ricambiato. Della lunga notte di spiegazioni e dolcezza che ne era
seguita. Dei piani e dei progetti. Delle ombre e degli oscuri presagi
che entrambi sentivate gravare sul cuore ma che non avevate il coraggio
di confessare. Di come momento dopo momento, giorno dopo giorno i
vostri baci fossero sempre più appassionati e di come lei,
Maya, sentisse crescere dentro di sé nuovi desideri, nuovi
fremiti. Di come sentisse sbocciare la sua femminilità ad
ogni suo tocco e di come ogni volta, ad ogni incontro, ognuno di voi
osasse carezze sempre più audaci. Fino a quella sera. La
voce di Maya era diventata un sussurro quasi impercettibile quando mi
raccontò della vostra prima volta. Non avrei mai creduto,
signor Hayami, che la timida Maya riuscisse a parlare senza pudore di
argomenti così intimi, che riuscisse ad evocare la passione
di un’intera notte passata a darsi la vita con le labbra e
con le mani, perdersi l’uno dentro l’altra e
rincorrersi fino ai confini dell’universo, sentirlo esplodere
dentro di sé e poi ricomporsi e tornare a esplodere in un
circolo senza fine. Le sue parole andavano oltre la descrizione del
semplice incontro di corpi per arrivare a narrare la fusione di due
anime. Parlava lentamente, e le sue parole, scelte con cura, si
diffondevano nel silenzio che ci circondava come i cerchi di un sasso
lasciato cadere in acque placide. “Noi non abbiamo neppure
dovuto cercarci, Hijiri, il difficile è stato riconoscerci e
poi tutto è andato al proprio posto. Ci siamo annullati
l’uno nell’altra e ricomposti come due
metà perfettamente compatibili”. Credo che sia
stato quello l’unico momento in cui l’abbia mai
invidiata, signor Hayami.
Poi la bomba al Kid’s Studio a cui Maya e i suoi colleghi
erano scampati per puro caso, semplicemente perché il figlio
minore di Kuronuma si era ferito a scuola e lui aveva interrotto le
prove per correre in ospedale e li aveva mandati a casa in anticipo.
“Non riesco a credere che avrebbero sacrificato tante vite
solo per colpire me. È per questo, Hijiri, che ho accettato
di fuggire e nascondermi. Non avrei sopportato che altri potessero
rischiare ancora la vita per colpa mia”.
Infine l’ultima notte trascorsa insieme. La disperazione. Il
sapore salato delle lacrime che si mescolava a quello degli umori. La
gioia stemperata dal dolore e il dolore stemperato dalla gioia.
L’urgenza e la dolcezza.
Tutto, signor Hayami, per legare a sé per sempre ogni
momento, ogni sospiro, ogni pensiero. Se ne stava lì,
appollaiata sulle mie gambe e sul mio petto e mi apriva le porte della
sua anima e dei suoi ricordi, con quella sua voce vellutata carica, di
momento in momento, di timidezza, passione, paura, e soprattutto
dolore, un dolore spietato. “E adesso ogni giorno, ogni
attimo, ogni respiro mi sento morire. Non solo perché senza
di lui mi sento incompleta ma perché non posso non pensare a
tutto il tempo che abbiamo perso. A quanti anni di felicità
abbiamo sprecato. E per quanto mi sforzi, per quanto ci provi con ogni
fibra del mio essere non riesco a credere veramente che tutto si
risolverà. Masumi ha detto che sarebbe stata solo una
questione di tempo e poi sarebbe venuto da me, da noi. Ma io ho paura
che non ci riesca. Paura che non smettano mai di ricattarlo, di
minacciare la sua famiglia e la Daito. E provo una gelosia folle verso
ogni persona che può vederlo e parlare con lui ogni giorno.
Una gelosia che mi annienta il cuore, che mi divora. Lo voglio qui
accanto a me. Voglio addormentarmi accanto a lui e svegliarmi accanto a
lui. E poi penso che invece c’è lei al suo fianco.
Ha sposato Shiori. È sua moglie adesso… sua
moglie… moglie… moglie…”
Continuava a ripetere le ultime parole come una cantilena, tra i
singhiozzi, finché scoppiò di nuovo a piangere
proseguendo fino ad addormentarsi, spossata, tra le mie braccia.
Qualche giorno dopo durante una passeggiata arrivammo davanti a una
piccola cascata e Maya improvvisamente cominciò a recitare
le battute della Dea Scarlatta. Era meravigliosa. Akoya finalmente
completa e con una nuova consapevolezza. La vita scorreva in lei e da
lei. Era impossibile non rimanerne affascinati ed io, completamente
assorto, non mi accorsi che non eravamo più soli fino a che
non sentì un singhiozzo provenire da un punto alle mie
spalle. Mi girai di scatto e vidi due abitanti del paese che si
asciugavano gli occhi colmi di lacrime. Probabilmente non avevano
capito neppure una parola, ma la luce che irradiava dal volto di Maya,
la sua forza, la dolcezza nella sua voce, bastava quello a trasmettere
tutto il sentimento, l’amore e la disperazione dello spirito
del susino. Anche Maya si accorse di loro e si fermò.
L’incanto era ormai rotto e lei fuggì verso casa.
Quella sera i due, un uomo e un ragazzo, vennero a farci visita. Li
conoscevo di vista ma ero certo di non aver scambiato più di
qualche semplice convenevole con loro dal nostro arrivo due mesi prima.
Furono molto gentili e si informarono sullo stato di Maya. Dopo che li
avemmo rassicurati e dopo aver conversato un po’ del
più e del meno le chiesero se fosse un’attrice.
“In un’altra vita”. Così
rispose lei chinando la testa mentre gli occhi le si erano
già inumiditi.
Le chiesero di ripetere lo spettacolo, per tutto il paese questa volta,
ma lei rifiutò dicendo che oramai quel personaggio
apparteneva ad un’altra attrice. Avrebbe però
interpretato altri ruoli, se glielo avessero permesso. Accettarono.
Inutile dire che il monologo che scelse fu un successo straordinario, a
cui ne sono seguiti altri nel corso dei mesi.
Recita solo per gli abitanti del villaggio. Rifiuta categoricamente che
ci siano degli stranieri ad assistere e non vuole essere fotografata.
Sa che cosa rischierebbe se in qualche modo il suo viso dovesse finire
su qualche rivista, se per puro caso qualcuno dovesse riconoscerla.
È più serena. La recitazione ha, come sempre
è stato, un effetto calmante su di lei e l’impegno
che ci mette l’aiuta a tenere lontani gli altri pensieri,
almeno per un po’. Ma si vede che le manca qualcosa. La luce
nel suo sguardo non è più quella brillante di un
tempo. È come se un velo la separasse dal mondo che la
circonda, come se, benché interagisca e si lasci
coinvolgere, il suo cuore fosse sempre lontano.
Ed eccomi qua, signor Hayami, a contravvenire ai suoi ordini. Eravamo
d’accordo di mantenerci in contatto solo tramite il suo amico
e così abbiamo fatto durante tutti questi mesi. Mi sono
domandato a lungo cosa dovessi fare e alla fine ho deciso, da solo.
Maya non ne sa niente. È arrivato il momento.
L’uomo che le ha consegnato questa lettera, il suo amico, le
illustrerà il piano che abbiamo studiato per permetterle di
lasciare per sempre il Giappone e raggiungerci.
Non tardi, signor Hayami. Maya ha bisogno di lei.
Suo figlio nascerà tra poco più di un mese. Il
figlio che lei non sa ancora di avere.
A presto.
Karato Hiijiri