Dragon
Ball, Dragonball Z,
Dragonball GT, Bulma, Vegeta e tutti gli altri personaggi sono
proprietà di
Akira Toriyama, Bird Studio e Toei Animation.
Questa
fanfiction è stata creata
senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti vorranno
leggerla.
Nessuna
violazione del copyright si
ritiene, pertanto, intesa….
PREMESSA:
Questa fanfiction è dedicata a mio
padre. Meno di un mese fa è stato il 16°
anniversario della sua scomparsa. Con questa
fanfiction, nel giorno a lui dedicato, voglio ricordarlo
perché lui sappia
sempre, ovunque si trovi, che gli voglio bene e che mai lo
dimenticherò.
FATHER’S
DAY
By Aresian
Il 19 marzo. Quella piccola data sul calendario è molto più di un semplice numero. In quel preciso giorno dell’anno i figli ricordano l’affetto e l’importanza che ha nella loro vita la figura del loro padre. E’ un giorno speciale. Dedicato a chi ha fatto e fa enormi sacrifici per far si che tu, figlio, possa vivere sereno e felice la tua vita. Che poi non tutti i padri rispettino il prototipo base è anche intuibile. C’è sempre chi si distingue per maggior rigidità oppure per eccessivo permissismo. Chi è presente ogni giorno, come un faro e un porto sicuro, e chi è invece assente, lontano, inavvicinabile. In ogni caso, buono o cattivo, gentile o arrogante, perfetto o imperfetto è pur sempre un …. PADRE.
A tutto questo
pensava Trunks mentre
camminava lungo la via centrale di Satan City.
Era da quando aveva
sette anni che
meditava costantemente su cosa potesse andare bene come regalo per quel
suo
strano e orgoglioso padre. Per prima cosa, il problema più
grande era sempre
stato l’atavico menefreghismo di Vegeta al riguardo delle
tradizioni terrestri.
Generalmente liquidava l’argomento con un “Le
solite trovate stupide dei
terrestri. Non hanno nient’altro di meglio da
fare?”. E questo quando era di
buon umore, altrimenti liquidava l’argomento con
un’alzata di spalle e
chiudendosi per ore nella Gravity Room, da solo. Trunks sapeva bene
come suo
padre detestasse le ricorrenze. Come sapeva che suo padre fingeva
solamente di
non ricordare i loro compleanni e quello della compagna, quando invece
erano
ben impressi nella sua memoria. Semplicemente non li considerava
importanti,
tutto qui. Eppure Trunks ci aveva sempre tenuto particolarmente alla
Festa del
Papà. Più di quanto non tenesse a quella di sua
madre. Forse era proprio il
disinteresse paterno a stimolarlo tanto. Forse…. O
più semplicemente, era
sempre stato più difficile approcciarsi a Vegeta che non a
Bulma e, da piccolo,
aveva intravvisto in quella festa l’opportunità
per raggiungere meglio il suo
cuore.
Umide gocce di
pioggia gli bagnarono il
viso. Un po’ sorpreso il ragazzo levò lo sguardo
al cielo plumbeo.
Probabilmente neanche quell’anno sarebbe riuscito a trovare
la via per accedere
all’intima essenza di quel suo tormentato padre. Con un
sorriso amaro infilò le
mani nelle tasche dei pantaloni e si riavviò verso casa.
Alla Capsule
Corporation, frattanto,
Vegeta era alle prese con un frugoletto di tre anni, dai capelli di
cielo, che
gli trotterellava allegro tra le gambe, da più di
mezz’ora.
“Insomma.
Piantala, Bra” bofonchiò
oltremodo infastidito.
La bambina si
bloccò all’instante
studiando il volto accigliato del padre. Vegeta si sorprese a rilevare,
una
volta di più, quanto la figlia somigliasse alla madre.
Sicuramente da grande
avrebbe rivaleggiato con lei in bellezza. A quel pensiero un sorriso
ironico si
delineò sulle sue labbra. Probabilmente Bulma non
l’avrebbe affatto presa
bene!!!!
Bra, scuotendo
buffamente la corta
chioma, si sedette sul morbido tappeto. Quando suo padre usava quel
tono secco
e brusco era meglio non insistere. Aveva solo tre anni, ma erano
più che
sufficienti a capire quando battere in ritirata.
La porta
d’ingresso si aprì con un mesto
cigolio lasciando il passaggio a Trunks che entrò
infreddolito nel corridoio,
portandosi dietro un vago sentore di pioggia.
Vegeta
osservò il volto serio del
figlio. Era da qualche mese che si aggirava per casa con
l’espressione da
“anima in pena”. Chissà cosa diavolo gli
frullava per la testa. O, bhè, avrebbe
potuto chiederglielo. Difficilmente Trunks si sarebbe lasciato sfuggire
l’occasione per parlare con lui, visto che ultimamente non
sembrava voler far
altro. Il problema era che non gli garbava l’idea di
impicciarsi nella vita
privata del figlio. Aveva quindi anni ormai, e aveva sufficiente stima
nella
sua capacità di giudizio da lasciarlo libero di gestire i
suoi affari senza
intromissioni. Al contrario di quell’impicciona della madre,
pensò vagamente
infastidito.
“Trunks….”
Esclamò entusiasta la
piccola, balzandogli letteralmente al collo.
Con un sorriso
divertito, il giovane la
strinse teneramente a sé. Adorava quella piccola peste.
Nonostante la
differenza d’età (c’erano ben dodici
anni -
N.d.a.) si sentiva molto protettivo nei suoi confronti.
Probabilmente
quanto Gohan, a suo tempo, lo era stato per Goten.
“Ciao
sorellina. Fatto disastri oggi?”
le chiese malizioso.
La piccola
scuotè energicamente la testa
in segno di diniego.
“Capisco…
La mamma è in casa?” chiese
poi rivolto al padre, che nel frattempo si era alzato e si era
avvicinato alla
grande vetrata del soggiorno.
“In
laboratorio. Visto che sei tornato, occupati
tu di Bra. Io vado ad allenarmi” rispose il saiyan voltandosi
a guardarlo. Il
volto serio e impenetrabile come sempre.
“D’accordo”
rispose semplicemente il
giovane, osservandolo mentre si allontanava.
Mentre si avviava
verso il laboratorio
della madre, con la sorellina al fianco, si soffermò a
pensare che negli ultimi
tempi si era “allontanato” da suo padre. O per
meglio dire. Lo avevano fatto
entrambi. La scuola lo teneva impegnato quasi tutto il giorno e ormai
solo rare
volte aveva occasione di allenarsi con Vegeta. Del resto, il principe
continuava a comportarsi come al solito, anzi ad essere sinceri
qualcosa nel
suo atteggiamento era cambiato. Da almeno un paio d’anni non
lo accompagnava
più al Parco Giochi. Per intenderci non che avrebbe gradito,
a 15 anni farsi
accompagnare dal padre, ma quelli erano gli unici momenti, insieme a
quelli
trascorsi nel Gravity Room, che condivideva, da solo, con lui. Si
sorprese nel
constatare che gli mancavano. Specie quando, la domenica, mentre si
apprestava ad
uscire con Goten per andare al cinema, lo vedeva uscire con Bra al
fianco e
dirigersi a quel parco che un tempo era stato il
“loro”.
Vegeta non era mai
stato un genitore
espansivo. Tutt’altro. I primi sette anni della sua vita li
aveva vissuti
venerandone la forza e il carsma ma temendone l’indole
guerriera più di quanto
volesse ammettere. Poi c’era stato quel fatidico torneo
Tenkaichi. Lo scontro
con Majinbu e per la prima volta, Vegeta, suo padre, aveva mostrato
quello che
provava per lui. Quell’abbraccio rude ma sincero, carico di
significati, lo
aveva scosso sin nel profondo, sanato inconsapevoli ferite, ma aperto
nuovi
interrogativi. Giacchè, crescendo, era stato
l’unico attimo di totale
complicità tra i due. Vegeta si era aperto un po’
di più, dopo il suo ritorno
in vita, ma era pur sempre rimasto un po’ distante, un
po’ inavvicinabile. Sua
madre gli aveva spiegato che aveva sofferto moltissimo nella sua
infanzia e che
questo lo aveva reso duro e inflessibile. Non aveva mai ricevuto
affetto e
questo gli impediva di mostrare quello che invece lui provava per gli
altri.
Tante belle parole, in cui aveva sinceramente creduto, ma un dato di
fatto
restava. Da quanto avevano smesso di allenarsi e da quando non lo
portava al
Parco, sentiva di averlo perso. Amaramente si rese conto che cominciava
ad
odiare, la Festa del Papà.
“Mammina….”
Esclamò Bra, attaccandosi
gioiosa alla gamba materna.
“Tesoro…
Ciao, Trunks. Tutto bene?”
chiese la donna carezzando la testolina della figlia. Lo sguardo del
figlio
maggiore pareva così triste in quei giorni. E anche adesso,
sembrava così
tormentato…
“Si,
mamma” si schermì il giovane,
evitando il suo sguardo indagatore.
Bulma
però non ci cascò. Prendendo tra
le braccia la piccola si avvicinò al figlio e gli disse
“Adesso faccio il bagno
e metto a letto tua sorella. Poi noi due dobbiamo fare un
discorsetto”.
“Ma
mamma…..” tentò di obiiettare il
giovane.
“Niente
ma” fu la pronta risposta.
Rassegnato
all’inevitabile, il ragazzo
tornò in casa e mestamente si sedette accanto al tavolo
della cucina. Il
secondo. Generalmente era sempre lì che si consumavano le
sue prediche.
Circa
mezz’ora dopo, Bulma raggiunse il
figlio, che nel frattempo si era preparato una tazza di tè e
gentilmente ne
aveva predisposta una anche per la madre.
“Ti
ringrazio, tesoro. Ma non pensare
che basti ad evitare la nostra conversazione” disse la donna,
sedendosi di
fronte al figlio.
Trunks sorrise
lievemente. A dire il
vero non ci aveva neanche pensato. Fare qualcosa di carino per sua
madre gli
riusciva piuttosto spesso.
“Che cosa
c’è, Trunks? Sono mesi che ti
vedo depresso e oggi poi sembri uno zombi in giro per casa”
disse Bulma,
andando subito al sodo.
“Ma
niente, mamma. Sono sciocchezze” si
difese il giovane gicondo col cucchiaio e la tazzina che aveva davanti.
“Non mi
freghi. Sputa il rospo. Non
avrai litigato con Goten spero” disse a quel punto la donna
alla ricerca delle
ragioni di tale malumore e turbamento.
“No. Con
Goten va benissimo” disse
prontamente il giovane, rialzando lo sguardo.
“Tua
sorella ti ha combinato qualche
scherzo?” chiese allora Bulma, sorseggiando tranquillamente
il suo tè al
gelsomino. Trunks a quanto pareva conosceva veramente bene i suoi
gusti….
“Bra….????
Ma no. E’ una piccola peste
ma lei non c’entra” rispose il giovane. Troppo
tardi si rese conto di esserci
cascato e di avere confermato alla madre che, effettivamente, un
problema
c’era.
“Capisco.
Allora l’unica ragione può
essere solo tuo padre” concluse la donna prontamente.
Imbarazzato, il
giovane evitò il suo
sguardo, cosa che confermò alla donna di avere visto giusto.
“E’
perché oggi è la Festa del
Papà?”
insistè a quel punto Bulma.
“In un
certo senso” bofonchiò il
ragazzo.
“Oh,
insomma, Trunks. Ti decidi a
dirmelo o te lo devo tirare fuori con le tenaglie?”
sbottò la donna esasperata.
Quando ci si metteva d’impegno, suo figlio era quasi peggio
del padre.
Trunks prese un
lungo respiro. Tanto
valeva vuotare il sacco, anche se faceva tremendamente male.
“Io…
credo di averlo perso mamma. Non riesco
più a trovare un dialogo con lui. Prima c’erano le
passeggiate al Parco Giochi,
oppure gli allenamenti. Adesso non mi è rimasto
niente” disse afflitto.
Bulma fece tanto
d’occhi. Ma che diamine
si era ficcato in testa suo figlio? Vegeta traboccava orgoglio da tutti
i pori
per quel ragazzo. Bhe, sì, forse non era il massimo della
comunicativa e non
riusciva spesso a farlo trasparire, ma diamine credeva che oramai
Trunks avesse
assodato l’affetto paterno.
“Starai
scherzando spero. Trunks, non mi
pare che tuo padre ti abbia sbattuto fuori dalla Gravity Room o abbia
smesso di
rivolgerti la parola. Sbaglio o piuttosto sei tu che hai iniziato ad
essere più
indipendente. A volere i tuoi spazi e a non cercarlo più con
assiduità per
divenire il “più forte”?” lo
redarguì in tono serio.
Trunks
trasalì.
“E’
vero mamma. Ma lui non ha fatto
niente per trattenermi. Gli ho detto – Sono grande adesso per
il parco giochi –
e lui dalla sera alla mattina non mi ci ha più portato ma
non ha pensato che
magari non sono troppo grande per andare a una partita con mio
padre… Si lo so.
Lui è il Principe dei Saiyan e queste sciocchezze non gli
interessano ma a me
sì, maledizione” soggiunse amaro, bloccando sul
nascere la risposta della
madre.
^O Kami,
è più amareggiato e ferito di quanto
credessi. Come diamine faccio adesso a convincerlo che si sbaglia?^
pensò
preoccupata la donna.
“Glielo
hai mai detto?” gli chiese
cauta.
“Mamma….
Come se tu non lo conoscessi”
ribattè il giovane ironico.
“Trunks
sai qual è il problema? Quando
hai smesso di cercarlo per allenarti, e quando gli hai detto che non
volevi più
ti accompagnasse al parco… lui si è sentito
escluso. Gli stai chiedendo di
adattarsi ai modi e ai costumi terrestri, ma tesoro per te è
facile. Sei
cresciuto e vissuto per tutta la tua vita su questo pianeta e sei per
metà
umano. Lui è saiyan dalla testa ai piedi. Il solo decidere
di rimanere sulla
Terra e farsi una famiglia ha stravolto il suo modo di vivere. Non
pretendere
da lui più di quanto pretenderesti da te stesso.
Probabilmente tuo padre non ti
accompagnerà mai ad un incontro di football o di basket, ma
non per questo ti
vuole meno bene di quando ha dato la vita per te
quel giorno, contro Majinbu”.
Il tono accorato
della madre lo scosse
alquanto.
“Ma se mi
vuole bene, perché non me lo
dimostra mai? Sono anni che gli preparò sorpresine per la
festa del papà,
innocenti regalini da bambino e pensieri più maturi da
ragazzo e tutto quello
che ottengo in risposta è solo – potevi
risparmiartelo, sai che detesto queste
smancerie – Smancerie le chiama lui. Io li chiamo gesti
d’affetto. Mi
basterebbe una pacca sulla spalla ogni tanto, o vedere un lampo
d’affetto nel
suo sguardo. Invece, da quando c’è Bra,
l’unica ad avere considerazione pare
essere lei. Già, forse sono già un
uomo… Inutile degnarmi ancora di uno
sguardo” disse frustrato il giovane, e prima che Bulma
potesse trattenerlo, se
ne andò. Doveva stare solo, doveva mettere ordine tra le sue
idee. Doveva
placare quel doloroso senso di abbandono che gli attanagliava il cuore.
Bulma
sospirò sconfitta. Quanto dolore
in quelle parole. Perché non ne aveva parlato prima.
Perché non spiegare
direttamente a suo padre i suoi sentimenti, le sue paure, le sue
aspettative.
No, cocciuto e ostinato come il padre, e orgoglioso allo stesso modo,
aveva
preferito sempre tacere e aspettare in silenzio.
“Lo hai
sentito?” chiese alzando
improvvisamente la testa.
Nessuna risposta,
solo lo sbattere secco
della porta sul retro.
Trunks raccolse
l’ennesimo sasso e con
forza lo getto nel lago, osservando quasi ipnotizzato i cerchi che il
medesimo
aveva provocato sull’acqua.
D’improvviso
il suo spirito venne percorso da un brivido di
aspettativa. Quella era l’aura di suo padre. Cosa diamine
c’era andato a fare
lì. Che sua madre gli avesse parlato? Se sì,
quale sarebbe stata la sua
reazione? Con un misto di aspettativa e di ansia il giovane si
levò in piedi
mentre un puntino diveniva sempre più visibile
all’orizzonte.
Vegeta
rallentò fermandosi poi sopra la
piana innanzi al lago. Lo aveva trovato. Bene, era ora che loro due
facessero
un bel discorsetto. Da saiyan a saiyan.
Senza esitare scese
a terra, a meno di
cinque metri dal figlio. Nei suoi occhi azzurri lesse la confusione.
“Sono sei
mesi che aspetto che tu vuoti
il sacco, Trunks. Ti facevo più maturo, invece mi accorgo
amaramente che sei un
bamboccio, esattamente come il figlio di Kaharoth” disse
duro, incrociando le
braccia sul petto.
Trunks
trasalì. Da mesi attendeva di
sentirlo rivogergli la parola, da padre a figlio, e le prime che
pronunciava
erano una sentenza nei suoi confronti. Consolante.
“Ti ha
costretto la mamma a venire?” gli
rispose sardonico. Incredibile, non avrebbe mai pensato di riuscire a
rivolgersi al padre in quei termini ma adesso era troppo deluso ed
arrabbiato
per fermasi a riflettere.
Gli occhi neri di
Vegeta furono
attraversati da un lampo di rabbia. Ma fu un attimo, subito ripresero
la loro
insondabile profondità.
“Eppure
dovresti sapere perfettamente
che nessuno può costringermi a fare quello che non
voglio” ribattè tranquillo.
“Allora, non ti lamenti di non avere la mia considerazione?
Sono davanti a te a
tua completa disposizione. Cosa vogliamo fare… ruzzolare
come due deficienti
nell’acqua, oppure fare un bel castello di sabbia? Dimmi
tu”. Il tono del
principe grondava sarcasmo.
Trunks tese ogni
muscolo del suo corpo
per trattenersi dal cedere alla sua provocazione. Stava deliberatamente
cercando di farlo sentire uno stupido.
“Smettila”
balbettò ferito.
“Di fare
cosa? Di accondiscendere alle
fisine di un moccioso viziato?” ribattè Vegeta in
tono velenoso.
“Io non
sono un moccioso. Sono tuo
figlio” gli urlò contro il giovane, esasperato dal
suo atteggiamento.
“Davvero?”.
Quella semplice
parola e il tono
derisorio con la quale fu pronunciata, furono la classica goccia che
fece traboccare
il vaso.
“Basta!!!!!”
urlò il giovane, con tutto
il fiato che aveva in gola, scagliandosi a testa bassa contro il padre.
Perché
gli aveva detto quelle parole, perché lo feriva a tal punto,
godendo pure nel
farlo? Perché?
Vegeta
schivò agilmente il suo attacco
scoordinato colpendolo con una gomitata nelle scapole.
“Alza la
guardia, moccioso. Ma guardati
non riesci neanche a stare in piedi”.
Trunks si
girò furioso, gli occhi
azzurri incupiti per la rabbia impotente.
“Sta
zitto” urlò cercando di colpirlo al
volto con un gancio.
Vegeta non si prese
neanche il disturbo
di schivarlo. Incrementando leggermente l’aura
incassò il colpo senza fare una
piega.
“Tutto
qui? Mio figlio saprebbe fare di
meglio”.
“Ma io
sono tuo figlio, maledizione”
protestò ferito il giovane.
“E allora
dannazione, dimostramelo.
Mettimi al tappeto. Sfoga la tua rabbia. Cosa aspetti?”
ribattè rabbioso il
principe.
Trunks
restò a fissarlo a bocca aperta.
Annichilito. Sembrava che volesse davvero essere colpito.
“Bhè.
Che ti prende?” chiese Vegeta
brusco. “Già ti arrendi?”.
“Io…
io non posso colpirti. Non ci
riesco. Non voglio combattere con te accecato dalla rabbia. Sei mio
padre. Io…”
balbettò confuso il ragazzo.
Vegeta
abbassò le braccia lungo il
corpo, lo sguardo improvvisamente triste.
“L’altro
te stesso l’ha fatto” disse
semplicemente.
“Come?”
“Io non
so fare il padre. Non credo di
essere neanche capace di fare il marito. Almeno tua madre mi accusa
spesso di
non esserlo. In passato ho fatto tanti errori, specie con
l’altro te stesso,
rischiando di portarlo ad odiarmi. A dirla tutta, avrei preferito che
fosse
così, almeno non avrei dovuto preoccuparmi di mostrargli
affetto, di allevarlo”
iniziò a spiegare Vegeta, voltadogli le spalle e
avvicinandosi alla riva del
lago. Trunks trattenne il fiato, suo padre gli stava donando una parte
di sé.
Una confidenza che doveva costragli moltissimo.
“Quando
Cell lo ha ucciso mi sono dovuto
arrendere all’evidenza. Ci tenevo a lui e dannazione, non
volevo perderlo.
Così, sono tornato da tua madre e da te. Mi sono detto, hai
sbagliato con lui
ma puoi evitare che accada ancora con questo figlio. Il mio esempio
paterno è
stato prima il RE, perché definirlo padre, almeno secondo il
tuo metro, sarebbe
un eufemismo. Il secondo, Freezer. Se facevo bene, mangiavo e vivevo.
Se
sbagliavo mi frustava quando andava bene, mi torturava quando andava
male”
proseguì in tono piatto, assolutamente privo di emozioni ma
proprio per questo
ancor più angosciante.
“Ti ho
insegnato tutto quello che so
delle battaglie. Ti ho donato tutta la mia esperienza. Ti ho dato
quello che un
Re mi ha sempre negato. Una presenza alle spalle, che mi lasciasse
libero di
sperimentare, di provare, di sbagliare anche ma pronto sempre a
intervenire, se
fosse stato necessario. Io sono un saiyan, Trunks. Non sono ne
Kaharoth, ne
nessun altro, solo me stesso. Se me stesso non ti basta….
allora ho perso
nuovamente mio figlio” concluse amaramente.
Un lungo silenzio
seguì quelle parole…
Vegeta non si sentiva sconfitto per essersi
“aperto” in quel modo con il
figlio. Solo “liberato”. Comunque fosse, sapeva che
questa volta non avrebbe
avuto rimpianti….
Improvvisamente si
ritrovò spinto
violentemente in acqua. Annaspò sorpreso per tornare a galla
e confuso vide il
figlio, con le gambe divaricate e l’espressione accigliata
sul volto, che lo
fissava dalla riva.
“Allora,
padre. Com’è l’acqua?” chiese
dopo un’istante il giovane, sciogliendosi in un sorriso
radioso.
Vegeta
inveì piano. Questa gliel’avrebbe
pagata cara.
Con la
rapidità del fulmine, uscì dall’acqua
scagliandosi contro il figlio e gettandolo a terra.
“Come hai
osato?” chiese furioso. Era
zuppo dalla testa ai piedi.
“Eh dai.
Che sarai mai un po’ d’acqua”
lo prese in giro il figlio, divertito.
“Ah,
sì. Vediamo se gradisci” ribattè
deciso sollevandolo di peso e gettandolo in acqua a sua volta.
Quando la zazzera
lavanda del figlio
riemerse dall’acqua gli disse ironico.
“Come si
sta bagnati?”.
“Meravigliosamente,
papà” rispose il
ragazzo, gli occhi azzurri luminosi come il cielo d’estate.
Vegeta si
lasciò sfuggire una smorfia. A
quanto pareva si erano chiariti. Comunque quel bagno fuori programma
non è che
lo avesse gradito poi tanto…
“Forza,
torniamo a casa. Prima che tua
madre ci dia per dispersi”.
“Subito.
Ah. Papà” lo chiamò esitante il
giovane, tornando a riva.
“Che
altro c’è adesso?!” chiese il
saiyan voltandosi a guardarlo.
“Io sono
orgoglioso di essere tuo
figlio. Perdonami. Non ti avevo capito” disse sincermanete
addolorato.
Vegeta
scrollò le spalle, come se la
cosa non lo riguardasse.
“Ed io
che tu sia mio figlio. Questo non
toglie che ti farò pagare caro questo
“bagno”” disse ironico, dandogli un
robusto pugno allo stomaco. Trunks sogghignò contrattaccando
e in meno di tre
secondi erano sospesi a mezz’aria intenti in un rapidissimo
corpo a corpo….
Così discutono e fanno pace i guerrieri saiyan…
Un ora dopo, Bulma
assistette al ritorno
dei due uomini di casa. Infangati e bagnati come pulcini.
“Ma che
diavolo avete combinato voi
due?” chiese perplessa la donna. Avevano tutta
l’aria di essersi azzuffati.
Trunks fece un
sorrisino imbarazzato e
poi rivolse al padre un’occhiata in tralice. Vegeta
incrociò le braccia sul
petto e disse semplicemente “Una divergenza di
opinioni”.
Bulma
innarcò un sopracciglio.
“Dove? In
una palude?” chiese dubbiosa.
Per restare assolutamente di sasso innanzi allo scoppio di risa che la
sua
domanda scatenò. Quello che vedeva aveva
dell’incredibile. Vegeta che rideva di
gusto seguito a ruota dal figlio. Per non parlare poi della pacca
affettuosa
che il principe diede sulle spalle del figlio.
“Forza,
andiamo a cambiarci” disse alla
fine il saiyan, appena l’ilarità scemò.
“Subito”
rispose prontamente il giovane.
Vegeta si stava
già avviando lungo il
corridoio. Trunks si apprestava a seguirlo ma la voce di Bulma lo
fermò.
“Fermo
lì. Trunks si può sapere che vi è
successo?” chiese la donna con fare inquisitorio.
“Niente,
mamma. Ci siamo…. chiariti.
Tutto qui. Ora è tutto a posto” disse sorridendo.
Bulma si
rilassò. Aveva dimenticato che
Vegeta risolveva sempre tutto con una scazzottata. Per fortuna, era
bene quello
che finiva bene.
Trunks si
lasciò sfuggire
un’esclamazione sgranando gli occhi e fissando la madre che
lo guardava
perplessa.
“Oh.
Kami. Con tutta questa storia non
ho preso il regalo per papà” spiegò il
giovane, dispiaciuto.
Bulma lo
guardò per un attimo e poi gli
sorrise rassicurante.
“Tesoro,
il regalo più grande glielo hai
già fatto”.
“Quale?”
chiese dubbioso il giovane.
“Lo hai
fatto ridere e credimi, sono
anni che non lo faceva così di gusto” gli
spiegò tranquilla.
Trunks
trasalì. E’ vero. Adesso che ci
pensava non aveva mai sentito suo padre ridere. Mentre si avviava verso
la sua
stanza constatò felice, che finalmente aveva trovato il
regalo giusto per suo
padre… un SORRISO….
- FINE -
N.d.A.: A MIO PADRE
–
Sai
papà, non
eri un uomo perfetto. Come tutti portavi dentro di te la tua brava
collezione
di difetti, ma per me i pregi erano al di sopra di tutto. Sei sempre
stato al
mio fianco, nei momenti tristi e in quelli allegri. Negli attimi di
angoscia
come in quelli di gioia e felicità. Eri il mio porto sicuro,
il faro che
illuminava la mia strada, eri mio… PADRE. Il giorno che i
tuoi occhi si sono
spenti per sempre mi sono sentita smarrita come non mai. Ho atteso per
anni di
vederti entrare da quella porta, anche se sapevo che era impossibile.
Ti ho
sempre voluto bene e te ne vorrò sempre. Perdonami se non
sono stata, forse, la
figlia che volevi e se non lo sono ancora. Prego perché tu
ora abbia trovato
pace e perché il tuo spirito continui a guidarmi, come il
FARO della mia
infanzia. TI VOGLIO BENE, PAPA’….
Scusatemi per
questa dedica personale, ma questo pensiero e dei garofani rossi sulla
sua
tomba, sono il mio regalo per il Father’s Day.
TORNA ALLE “AUTOCONCLUSIVE
– ALTRE DI ARE”