Dragon Ball, Dragonball Z, Dragonball GT, Bulma, Vegeta e tutti gli altri personaggi sono proprietà di Akira Toriyama, Bird Studio e Toei Animation.

Questa fanfiction è stata creata senza fini di lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti vorranno leggerla.

Nessuna violazione del copyright si ritiene, pertanto, intesa….

 

 

 

PREMESSA: Questa fanfiction è dedicata a mio padre. Meno di un mese fa è stato il 16° anniversario della sua scomparsa. Con questa fanfiction, nel giorno a lui dedicato, voglio ricordarlo perché lui sappia sempre, ovunque si trovi, che gli voglio bene e che mai lo dimenticherò.

 

 

FATHER’S DAY

By Aresian

 

 

Il 19 marzo. Quella piccola data sul calendario è molto più di un semplice numero. In quel preciso giorno dell’anno i figli ricordano l’affetto e l’importanza che ha nella loro vita la figura del loro padre. E’ un giorno speciale. Dedicato a chi ha fatto e fa enormi sacrifici per far si che tu, figlio, possa vivere sereno e felice la tua vita. Che poi non tutti i padri rispettino il prototipo base è anche intuibile. C’è sempre chi si distingue per maggior rigidità oppure per eccessivo permissismo. Chi è presente ogni giorno, come un faro e un porto sicuro, e chi è invece assente, lontano, inavvicinabile. In ogni caso, buono o cattivo, gentile o arrogante, perfetto o imperfetto è pur sempre un …. PADRE.

A tutto questo pensava Trunks mentre camminava lungo la via centrale di Satan City.

Era da quando aveva sette anni che meditava costantemente su cosa potesse andare bene come regalo per quel suo strano e orgoglioso padre. Per prima cosa, il problema più grande era sempre stato l’atavico menefreghismo di Vegeta al riguardo delle tradizioni terrestri. Generalmente liquidava l’argomento con un “Le solite trovate stupide dei terrestri. Non hanno nient’altro di meglio da fare?”. E questo quando era di buon umore, altrimenti liquidava l’argomento con un’alzata di spalle e chiudendosi per ore nella Gravity Room, da solo. Trunks sapeva bene come suo padre detestasse le ricorrenze. Come sapeva che suo padre fingeva solamente di non ricordare i loro compleanni e quello della compagna, quando invece erano ben impressi nella sua memoria. Semplicemente non li considerava importanti, tutto qui. Eppure Trunks ci aveva sempre tenuto particolarmente alla Festa del Papà. Più di quanto non tenesse a quella di sua madre. Forse era proprio il disinteresse paterno a stimolarlo tanto. Forse…. O più semplicemente, era sempre stato più difficile approcciarsi a Vegeta che non a Bulma e, da piccolo, aveva intravvisto in quella festa l’opportunità per raggiungere meglio il suo cuore.

Umide gocce di pioggia gli bagnarono il viso. Un po’ sorpreso il ragazzo levò lo sguardo al cielo plumbeo. Probabilmente neanche quell’anno sarebbe riuscito a trovare la via per accedere all’intima essenza di quel suo tormentato padre. Con un sorriso amaro infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si riavviò verso casa.

 

Alla Capsule Corporation, frattanto, Vegeta era alle prese con un frugoletto di tre anni, dai capelli di cielo, che gli trotterellava allegro tra le gambe, da più di mezz’ora.

“Insomma. Piantala, Bra” bofonchiò oltremodo infastidito.

La bambina si bloccò all’instante studiando il volto accigliato del padre. Vegeta si sorprese a rilevare, una volta di più, quanto la figlia somigliasse alla madre. Sicuramente da grande avrebbe rivaleggiato con lei in bellezza. A quel pensiero un sorriso ironico si delineò sulle sue labbra. Probabilmente Bulma non l’avrebbe affatto presa bene!!!!

Bra, scuotendo buffamente la corta chioma, si sedette sul morbido tappeto. Quando suo padre usava quel tono secco e brusco era meglio non insistere. Aveva solo tre anni, ma erano più che sufficienti a capire quando battere in ritirata.

La porta d’ingresso si aprì con un mesto cigolio lasciando il passaggio a Trunks che entrò infreddolito nel corridoio, portandosi dietro un vago sentore di pioggia.

Vegeta osservò il volto serio del figlio. Era da qualche mese che si aggirava per casa con l’espressione da “anima in pena”. Chissà cosa diavolo gli frullava per la testa. O, bhè, avrebbe potuto chiederglielo. Difficilmente Trunks si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione per parlare con lui, visto che ultimamente non sembrava voler far altro. Il problema era che non gli garbava l’idea di impicciarsi nella vita privata del figlio. Aveva quindi anni ormai, e aveva sufficiente stima nella sua capacità di giudizio da lasciarlo libero di gestire i suoi affari senza intromissioni. Al contrario di quell’impicciona della madre, pensò vagamente infastidito.

“Trunks….” Esclamò entusiasta la piccola, balzandogli letteralmente al collo.

Con un sorriso divertito, il giovane la strinse teneramente a sé. Adorava quella piccola peste. Nonostante la differenza d’età (c’erano ben dodici anni -  N.d.a.) si sentiva molto protettivo nei suoi confronti. Probabilmente quanto Gohan, a suo tempo, lo era stato per Goten.

“Ciao sorellina. Fatto disastri oggi?” le chiese malizioso.

La piccola scuotè energicamente la testa in segno di diniego.

“Capisco… La mamma è in casa?” chiese poi rivolto al padre, che nel frattempo si era alzato e si era avvicinato alla grande vetrata del soggiorno.

“In laboratorio. Visto che sei tornato, occupati tu di Bra. Io vado ad allenarmi” rispose il saiyan voltandosi a guardarlo. Il volto serio e impenetrabile come sempre.

“D’accordo” rispose semplicemente il giovane, osservandolo mentre si allontanava.

 

Mentre si avviava verso il laboratorio della madre, con la sorellina al fianco, si soffermò a pensare che negli ultimi tempi si era “allontanato” da suo padre. O per meglio dire. Lo avevano fatto entrambi. La scuola lo teneva impegnato quasi tutto il giorno e ormai solo rare volte aveva occasione di allenarsi con Vegeta. Del resto, il principe continuava a comportarsi come al solito, anzi ad essere sinceri qualcosa nel suo atteggiamento era cambiato. Da almeno un paio d’anni non lo accompagnava più al Parco Giochi. Per intenderci non che avrebbe gradito, a 15 anni farsi accompagnare dal padre, ma quelli erano gli unici momenti, insieme a quelli trascorsi nel Gravity Room, che condivideva, da solo, con lui. Si sorprese nel constatare che gli mancavano. Specie quando, la domenica, mentre si apprestava ad uscire con Goten per andare al cinema, lo vedeva uscire con Bra al fianco e dirigersi a quel parco che un tempo era stato il “loro”.

Vegeta non era mai stato un genitore espansivo. Tutt’altro. I primi sette anni della sua vita li aveva vissuti venerandone la forza e il carsma ma temendone l’indole guerriera più di quanto volesse ammettere. Poi c’era stato quel fatidico torneo Tenkaichi. Lo scontro con Majinbu e per la prima volta, Vegeta, suo padre, aveva mostrato quello che provava per lui. Quell’abbraccio rude ma sincero, carico di significati, lo aveva scosso sin nel profondo, sanato inconsapevoli ferite, ma aperto nuovi interrogativi. Giacchè, crescendo, era stato l’unico attimo di totale complicità tra i due. Vegeta si era aperto un po’ di più, dopo il suo ritorno in vita, ma era pur sempre rimasto un po’ distante, un po’ inavvicinabile. Sua madre gli aveva spiegato che aveva sofferto moltissimo nella sua infanzia e che questo lo aveva reso duro e inflessibile. Non aveva mai ricevuto affetto e questo gli impediva di mostrare quello che invece lui provava per gli altri. Tante belle parole, in cui aveva sinceramente creduto, ma un dato di fatto restava. Da quanto avevano smesso di allenarsi e da quando non lo portava al Parco, sentiva di averlo perso. Amaramente si rese conto che cominciava ad odiare, la Festa del Papà.

 

“Mammina….” Esclamò Bra, attaccandosi gioiosa alla gamba materna.

“Tesoro… Ciao, Trunks. Tutto bene?” chiese la donna carezzando la testolina della figlia. Lo sguardo del figlio maggiore pareva così triste in quei giorni. E anche adesso, sembrava così tormentato…

“Si, mamma” si schermì il giovane, evitando il suo sguardo indagatore.

Bulma però non ci cascò. Prendendo tra le braccia la piccola si avvicinò al figlio e gli disse “Adesso faccio il bagno e metto a letto tua sorella. Poi noi due dobbiamo fare un discorsetto”.

“Ma mamma…..” tentò di obiiettare il giovane.

“Niente ma” fu la pronta risposta.

Rassegnato all’inevitabile, il ragazzo tornò in casa e mestamente si sedette accanto al tavolo della cucina. Il secondo. Generalmente era sempre lì che si consumavano le sue prediche.

 

Circa mezz’ora dopo, Bulma raggiunse il figlio, che nel frattempo si era preparato una tazza di tè e gentilmente ne aveva predisposta una anche per la madre.

“Ti ringrazio, tesoro. Ma non pensare che basti ad evitare la nostra conversazione” disse la donna, sedendosi di fronte al figlio.

Trunks sorrise lievemente. A dire il vero non ci aveva neanche pensato. Fare qualcosa di carino per sua madre gli riusciva piuttosto spesso.

“Che cosa c’è, Trunks? Sono mesi che ti vedo depresso e oggi poi sembri uno zombi in giro per casa” disse Bulma, andando subito al sodo.

“Ma niente, mamma. Sono sciocchezze” si difese il giovane gicondo col cucchiaio e la tazzina che aveva davanti.

“Non mi freghi. Sputa il rospo. Non avrai litigato con Goten spero” disse a quel punto la donna alla ricerca delle ragioni di tale malumore e turbamento.

“No. Con Goten va benissimo” disse prontamente il giovane, rialzando lo sguardo.

“Tua sorella ti ha combinato qualche scherzo?” chiese allora Bulma, sorseggiando tranquillamente il suo tè al gelsomino. Trunks a quanto pareva conosceva veramente bene i suoi gusti….

“Bra….???? Ma no. E’ una piccola peste ma lei non c’entra” rispose il giovane. Troppo tardi si rese conto di esserci cascato e di avere confermato alla madre che, effettivamente, un problema c’era.

“Capisco. Allora l’unica ragione può essere solo tuo padre” concluse la donna prontamente.

Imbarazzato, il giovane evitò il suo sguardo, cosa che confermò alla donna di avere visto giusto.

“E’ perché oggi è la Festa del Papà?” insistè a quel punto Bulma.

“In un certo senso” bofonchiò il ragazzo.

“Oh, insomma, Trunks. Ti decidi a dirmelo o te lo devo tirare fuori con le tenaglie?” sbottò la donna esasperata. Quando ci si metteva d’impegno, suo figlio era quasi peggio del padre.

Trunks prese un lungo respiro. Tanto valeva vuotare il sacco, anche se faceva tremendamente male.

“Io… credo di averlo perso mamma. Non riesco più a trovare un dialogo con lui. Prima c’erano le passeggiate al Parco Giochi, oppure gli allenamenti. Adesso non mi è rimasto niente” disse afflitto.

Bulma fece tanto d’occhi. Ma che diamine si era ficcato in testa suo figlio? Vegeta traboccava orgoglio da tutti i pori per quel ragazzo. Bhe, sì, forse non era il massimo della comunicativa e non riusciva spesso a farlo trasparire, ma diamine credeva che oramai Trunks avesse assodato l’affetto paterno.

“Starai scherzando spero. Trunks, non mi pare che tuo padre ti abbia sbattuto fuori dalla Gravity Room o abbia smesso di rivolgerti la parola. Sbaglio o piuttosto sei tu che hai iniziato ad essere più indipendente. A volere i tuoi spazi e a non cercarlo più con assiduità per divenire il “più forte”?” lo redarguì in tono serio.

Trunks trasalì.

“E’ vero mamma. Ma lui non ha fatto niente per trattenermi. Gli ho detto – Sono grande adesso per il parco giochi – e lui dalla sera alla mattina non mi ci ha più portato ma non ha pensato che magari non sono troppo grande per andare a una partita con mio padre… Si lo so. Lui è il Principe dei Saiyan e queste sciocchezze non gli interessano ma a me sì, maledizione” soggiunse amaro, bloccando sul nascere la risposta della madre.

^O Kami, è più amareggiato e ferito di quanto credessi. Come diamine faccio adesso a convincerlo che si sbaglia?^ pensò preoccupata la donna.

“Glielo hai mai detto?” gli chiese cauta.

“Mamma…. Come se tu non lo conoscessi” ribattè il giovane ironico.

“Trunks sai qual è il problema? Quando hai smesso di cercarlo per allenarti, e quando gli hai detto che non volevi più ti accompagnasse al parco… lui si è sentito escluso. Gli stai chiedendo di adattarsi ai modi e ai costumi terrestri, ma tesoro per te è facile. Sei cresciuto e vissuto per tutta la tua vita su questo pianeta e sei per metà umano. Lui è saiyan dalla testa ai piedi. Il solo decidere di rimanere sulla Terra e farsi una famiglia ha stravolto il suo modo di vivere. Non pretendere da lui più di quanto pretenderesti da te stesso. Probabilmente tuo padre non ti accompagnerà mai ad un incontro di football o di basket, ma non per questo ti vuole meno bene di quando ha dato la vita per te  quel giorno, contro Majinbu”.

Il tono accorato della madre lo scosse alquanto.

“Ma se mi vuole bene, perché non me lo dimostra mai? Sono anni che gli preparò sorpresine per la festa del papà, innocenti regalini da bambino e pensieri più maturi da ragazzo e tutto quello che ottengo in risposta è solo – potevi risparmiartelo, sai che detesto queste smancerie – Smancerie le chiama lui. Io li chiamo gesti d’affetto. Mi basterebbe una pacca sulla spalla ogni tanto, o vedere un lampo d’affetto nel suo sguardo. Invece, da quando c’è Bra, l’unica ad avere considerazione pare essere lei. Già, forse sono già un uomo… Inutile degnarmi ancora di uno sguardo” disse frustrato il giovane, e prima che Bulma potesse trattenerlo, se ne andò. Doveva stare solo, doveva mettere ordine tra le sue idee. Doveva placare quel doloroso senso di abbandono che gli attanagliava il cuore.

Bulma sospirò sconfitta. Quanto dolore in quelle parole. Perché non ne aveva parlato prima. Perché non spiegare direttamente a suo padre i suoi sentimenti, le sue paure, le sue aspettative. No, cocciuto e ostinato come il padre, e orgoglioso allo stesso modo, aveva preferito sempre tacere e aspettare in silenzio.

“Lo hai sentito?” chiese alzando improvvisamente la testa.

Nessuna risposta, solo lo sbattere secco della porta sul retro.

 

Trunks raccolse l’ennesimo sasso e con forza lo getto nel lago, osservando quasi ipnotizzato i cerchi che il medesimo aveva provocato sull’acqua.

 D’improvviso il suo spirito venne percorso da un brivido di aspettativa. Quella era l’aura di suo padre. Cosa diamine c’era andato a fare lì. Che sua madre gli avesse parlato? Se sì, quale sarebbe stata la sua reazione? Con un misto di aspettativa e di ansia il giovane si levò in piedi mentre un puntino diveniva sempre più visibile all’orizzonte.

 

Vegeta rallentò fermandosi poi sopra la piana innanzi al lago. Lo aveva trovato. Bene, era ora che loro due facessero un bel discorsetto. Da saiyan a saiyan.

Senza esitare scese a terra, a meno di cinque metri dal figlio. Nei suoi occhi azzurri lesse la confusione.

“Sono sei mesi che aspetto che tu vuoti il sacco, Trunks. Ti facevo più maturo, invece mi accorgo amaramente che sei un bamboccio, esattamente come il figlio di Kaharoth” disse duro, incrociando le braccia sul petto.

Trunks trasalì. Da mesi attendeva di sentirlo rivogergli la parola, da padre a figlio, e le prime che pronunciava erano una sentenza nei suoi confronti. Consolante.

“Ti ha costretto la mamma a venire?” gli rispose sardonico. Incredibile, non avrebbe mai pensato di riuscire a rivolgersi al padre in quei termini ma adesso era troppo deluso ed arrabbiato per fermasi a riflettere.

Gli occhi neri di Vegeta furono attraversati da un lampo di rabbia. Ma fu un attimo, subito ripresero la loro insondabile profondità.

“Eppure dovresti sapere perfettamente che nessuno può costringermi a fare quello che non voglio” ribattè tranquillo. “Allora, non ti lamenti di non avere la mia considerazione? Sono davanti a te a tua completa disposizione. Cosa vogliamo fare… ruzzolare come due deficienti nell’acqua, oppure fare un bel castello di sabbia? Dimmi tu”. Il tono del principe grondava sarcasmo.

Trunks tese ogni muscolo del suo corpo per trattenersi dal cedere alla sua provocazione. Stava deliberatamente cercando di farlo sentire uno stupido.

“Smettila” balbettò ferito.

“Di fare cosa? Di accondiscendere alle fisine di un moccioso viziato?” ribattè Vegeta in tono velenoso.

“Io non sono un moccioso. Sono tuo figlio” gli urlò contro il giovane, esasperato dal suo atteggiamento.

“Davvero?”.

Quella semplice parola e il tono derisorio con la quale fu pronunciata, furono la classica goccia che fece traboccare il vaso.

“Basta!!!!!” urlò il giovane, con tutto il fiato che aveva in gola, scagliandosi a testa bassa contro il padre. Perché gli aveva detto quelle parole, perché lo feriva a tal punto, godendo pure nel farlo? Perché?

Vegeta schivò agilmente il suo attacco scoordinato colpendolo con una gomitata nelle scapole.

“Alza la guardia, moccioso. Ma guardati non riesci neanche a stare in piedi”.

Trunks si girò furioso, gli occhi azzurri incupiti per la rabbia impotente.

“Sta zitto” urlò cercando di colpirlo al volto con un gancio.

Vegeta non si prese neanche il disturbo di schivarlo. Incrementando leggermente l’aura incassò il colpo senza fare una piega.

“Tutto qui? Mio figlio saprebbe fare di meglio”.

“Ma io sono tuo figlio, maledizione” protestò ferito il giovane.

“E allora dannazione, dimostramelo. Mettimi al tappeto. Sfoga la tua rabbia. Cosa aspetti?” ribattè rabbioso il principe.

Trunks restò a fissarlo a bocca aperta. Annichilito. Sembrava che volesse davvero essere colpito.

“Bhè. Che ti prende?” chiese Vegeta brusco. “Già ti arrendi?”.

“Io… io non posso colpirti. Non ci riesco. Non voglio combattere con te accecato dalla rabbia. Sei mio padre. Io…” balbettò confuso il ragazzo.

Vegeta abbassò le braccia lungo il corpo, lo sguardo improvvisamente triste.

“L’altro te stesso l’ha fatto” disse semplicemente.

“Come?”

“Io non so fare il padre. Non credo di essere neanche capace di fare il marito. Almeno tua madre mi accusa spesso di non esserlo. In passato ho fatto tanti errori, specie con l’altro te stesso, rischiando di portarlo ad odiarmi. A dirla tutta, avrei preferito che fosse così, almeno non avrei dovuto preoccuparmi di mostrargli affetto, di allevarlo” iniziò a spiegare Vegeta, voltadogli le spalle e avvicinandosi alla riva del lago. Trunks trattenne il fiato, suo padre gli stava donando una parte di sé. Una confidenza che doveva costragli moltissimo.

“Quando Cell lo ha ucciso mi sono dovuto arrendere all’evidenza. Ci tenevo a lui e dannazione, non volevo perderlo. Così, sono tornato da tua madre e da te. Mi sono detto, hai sbagliato con lui ma puoi evitare che accada ancora con questo figlio. Il mio esempio paterno è stato prima il RE, perché definirlo padre, almeno secondo il tuo metro, sarebbe un eufemismo. Il secondo, Freezer. Se facevo bene, mangiavo e vivevo. Se sbagliavo mi frustava quando andava bene, mi torturava quando andava male” proseguì in tono piatto, assolutamente privo di emozioni ma proprio per questo ancor più angosciante.

“Ti ho insegnato tutto quello che so delle battaglie. Ti ho donato tutta la mia esperienza. Ti ho dato quello che un Re mi ha sempre negato. Una presenza alle spalle, che mi lasciasse libero di sperimentare, di provare, di sbagliare anche ma pronto sempre a intervenire, se fosse stato necessario. Io sono un saiyan, Trunks. Non sono ne Kaharoth, ne nessun altro, solo me stesso. Se me stesso non ti basta…. allora ho perso nuovamente mio figlio” concluse amaramente.

Un lungo silenzio seguì quelle parole… Vegeta non si sentiva sconfitto per essersi “aperto” in quel modo con il figlio. Solo “liberato”. Comunque fosse, sapeva che questa volta non avrebbe avuto rimpianti….

Improvvisamente si ritrovò spinto violentemente in acqua. Annaspò sorpreso per tornare a galla e confuso vide il figlio, con le gambe divaricate e l’espressione accigliata sul volto, che lo fissava dalla riva.

“Allora, padre. Com’è l’acqua?” chiese dopo un’istante il giovane, sciogliendosi in un sorriso radioso.

Vegeta inveì piano. Questa gliel’avrebbe pagata cara.

Con la rapidità del fulmine, uscì dall’acqua scagliandosi contro il figlio e gettandolo a terra.

“Come hai osato?” chiese furioso. Era zuppo dalla testa ai piedi.

“Eh dai. Che sarai mai un po’ d’acqua” lo prese in giro il figlio, divertito.

“Ah, sì. Vediamo se gradisci” ribattè deciso sollevandolo di peso e gettandolo in acqua a sua volta.

Quando la zazzera lavanda del figlio riemerse dall’acqua gli disse ironico.

“Come si sta bagnati?”.

“Meravigliosamente, papà” rispose il ragazzo, gli occhi azzurri luminosi come il cielo d’estate.

Vegeta si lasciò sfuggire una smorfia. A quanto pareva si erano chiariti. Comunque quel bagno fuori programma non è che lo avesse gradito poi tanto…

“Forza, torniamo a casa. Prima che tua madre ci dia per dispersi”.

“Subito. Ah. Papà” lo chiamò esitante il giovane, tornando a riva.

“Che altro c’è adesso?!” chiese il saiyan voltandosi a guardarlo.

“Io sono orgoglioso di essere tuo figlio. Perdonami. Non ti avevo capito” disse sincermanete addolorato.

Vegeta scrollò le spalle, come se la cosa non lo riguardasse.

“Ed io che tu sia mio figlio. Questo non toglie che ti farò pagare caro questo “bagno”” disse ironico, dandogli un robusto pugno allo stomaco. Trunks sogghignò contrattaccando e in meno di tre secondi erano sospesi a mezz’aria intenti in un rapidissimo corpo a corpo…. Così discutono e fanno pace i guerrieri saiyan…

 

Un ora dopo, Bulma assistette al ritorno dei due uomini di casa. Infangati e bagnati come pulcini.

“Ma che diavolo avete combinato voi due?” chiese perplessa la donna. Avevano tutta l’aria di essersi azzuffati.

Trunks fece un sorrisino imbarazzato e poi rivolse al padre un’occhiata in tralice. Vegeta incrociò le braccia sul petto e disse semplicemente “Una divergenza di opinioni”.

Bulma innarcò un sopracciglio.

“Dove? In una palude?” chiese dubbiosa. Per restare assolutamente di sasso innanzi allo scoppio di risa che la sua domanda scatenò. Quello che vedeva aveva dell’incredibile. Vegeta che rideva di gusto seguito a ruota dal figlio. Per non parlare poi della pacca affettuosa che il principe diede sulle spalle del figlio.

“Forza, andiamo a cambiarci” disse alla fine il saiyan, appena l’ilarità scemò.

“Subito” rispose prontamente il giovane.

Vegeta si stava già avviando lungo il corridoio. Trunks si apprestava a seguirlo ma la voce di Bulma lo fermò.

“Fermo lì. Trunks si può sapere che vi è successo?” chiese la donna con fare inquisitorio.

“Niente, mamma. Ci siamo…. chiariti. Tutto qui. Ora è tutto a posto” disse sorridendo.

Bulma si rilassò. Aveva dimenticato che Vegeta risolveva sempre tutto con una scazzottata. Per fortuna, era bene quello che finiva bene.

Trunks si lasciò sfuggire un’esclamazione sgranando gli occhi e fissando la madre che lo guardava perplessa.

“Oh. Kami. Con tutta questa storia non ho preso il regalo per papà” spiegò il giovane, dispiaciuto.

Bulma lo guardò per un attimo e poi gli sorrise rassicurante.

“Tesoro, il regalo più grande glielo hai già fatto”.

“Quale?” chiese dubbioso il giovane.

“Lo hai fatto ridere e credimi, sono anni che non lo faceva così di gusto” gli spiegò tranquilla.

Trunks trasalì. E’ vero. Adesso che ci pensava non aveva mai sentito suo padre ridere. Mentre si avviava verso la sua stanza constatò felice, che finalmente aveva trovato il regalo giusto per suo padre… un SORRISO….

 

- FINE -

 

 

N.d.A.: A MIO PADRE –

Sai papà, non eri un uomo perfetto. Come tutti portavi dentro di te la tua brava collezione di difetti, ma per me i pregi erano al di sopra di tutto. Sei sempre stato al mio fianco, nei momenti tristi e in quelli allegri. Negli attimi di angoscia come in quelli di gioia e felicità. Eri il mio porto sicuro, il faro che illuminava la mia strada, eri mio… PADRE. Il giorno che i tuoi occhi si sono spenti per sempre mi sono sentita smarrita come non mai. Ho atteso per anni di vederti entrare da quella porta, anche se sapevo che era impossibile. Ti ho sempre voluto bene e te ne vorrò sempre. Perdonami se non sono stata, forse, la figlia che volevi e se non lo sono ancora. Prego perché tu ora abbia trovato pace e perché il tuo spirito continui a guidarmi, come il FARO della mia infanzia. TI VOGLIO BENE, PAPA’….

 

Scusatemi per questa dedica personale, ma questo pensiero e dei garofani rossi sulla sua tomba, sono il mio regalo per il Father’s Day.

 

 

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