DISCLAIMER:
I Cavalieri
dello Zodiaco, i suoi personaggi e tutti i film legati alle serie sono
copyright © di Masami Kurumada, Toei Production e Shonen Jump.
Questa fanfiction è stata creata senza fini di lucro, per il puro piacere di
farlo e per quanti vorranno leggerla.
Nessuna
violazione del copyright si ritiene, pertanto, intesa….
PREMESSA:
Questa fanfiction è legata ad un periodo posteriore alla Saga di Hades. In ogni
caso non è necessario che ne conosciate la trama, giacchè trae spunto da
avvenimenti antecedenti, legati ancora alla lotta contro Arles. Faccio inoltre
presente che, per esigenze personali di trama, a differenza di quanto accade
alla fine della Saga di Hades, tutti i Bronze Saints sono in vita, mentre sono
morti tutti i Gold Saints originari. Nella storia troverete i nomi originali
dei vari personaggi, la prima volta vi troverete al fianco, tra parentesi, anche
il nome “italiano”.
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Nuova
Luxor era immersa nel torpore di un autunno inoltrato che, come un artista
particolarmente ispirato, aveva spruzzato di variegate tinte dell’oro, arancio
e verde le foglie cadenti degli alberi dei viali e del grande parco della Villa
Kido (la residenza di Lady Isabel – N.d.A.). Erano trascorsi dieci anni
dall’ultima battaglia in nome di Athena e, ormai spersi in giro per il globo, i
mitici cavalieri dello zodiaco conducevano esistenze miti e tranquille. Hyoga
(Cristal) si era trasferito, da più di cinque anni, nelle aride e gelide terre
di quel di Asgaard, presumibilmente per godersi il tepore del camino con una
dolce e devota sposa. Anche Seiya
(Pegasus) aveva finito con l’abbandonare la città per trasferirsi sulle brulle
ed arroventate rocce del Grande Tempio, accanto a Shaina (Tisifone) e Marin
(Castalia). Shiryu (Sirio) aveva fatto
ritorno ai Cinque Picchi, e presto sarebbe diventato padre, persino Shun, suo
fratello si era trovato una ragazza ed ora, insieme a lei, progettava un futuro
prospero e roseo, con qualche pargolo al seguito, pianificando un matrimonio
quasi imminente. Solo lui era rimasto, di fatto… solo. Non aveva un luogo che
sentisse propriamente di poter chiamare casa. Aveva girovagato qua e là, visitando
posti esotici dalle spiagge incontaminate
al pari delle silenti e maestose montagne degli altipiani del Tibet. Si
era perso ad ammirare la volta stellata dalle dune del deserto, in completa
solitudine, per poi tornare, privo di risposte, a Nuova Luxor. Come sempre Lady
Saori (Lady Isabel) aveva lasciato aperta la porta della sua Villa all’ombroso
cavaliere, senza fare domande, senza chiedergli il perché di quell’improvviso
ma, tutto sommato, previsto ritorno. Già, nessuno dubitava che, nonostante la sua
atavica tendenza all’asociale, Ikki sarebbe tornato a Nuova Luxor, per lo meno,
per presenziare al matrimonio del fratello. Shun, come al solito, lo aveva
accolto con un entusiasmo e un calore quasi fanciulleschi, chi l’avrebbe detto
che tra poco avrebbe messo su famiglia? Ikki lo aveva osservato sorridendo,
vagamente divertito, mentre i suoi occhi azzurri sondavano con un’espressione
indecifrabile il volto della futura cognata. Alla fine, a quanto pareva, Shun
si era messo insieme alla vecchia compagna di addestramento, giacchè quella
giovane dai lunghi capelli biondi non poteva essere altri che Nemes.
“Ti
trovo bene fratellino” disse poi, staccandosi dall’abbraccio un po’ troppo
affettuoso di quest’ultimo. Detestava l’eccessiva, almeno per quanto lo riguardava,
esternazione affettiva di Shun perché aveva il potere di metterlo in imbarazzo.
Lui sempre così ombroso, sempre così… orso. Un sorriso quasi cinico si delineò,
per un istante, sulle labbra del Cavaliere della Fenice. Forse era per quella
ragione che non era ancora riuscito a trovare una donna che lo guardasse con
occhi adoranti come faceva, in quel momento, Nemes con suo fratello.
“Sono
felice che tu sia potuto venire. E’ da secoli che non ci vediamo. Certo che
potresti degnarti, ogni tanto, di telefonare” borbottò Shun, notando il fisico
asciutto ed abbronzato del fratello. Pareva essere in perfetta forma fisica,
senza contare la forza del suo cosmo che avvertiva distintamente, nonostante
l’apparente rilassatezza del fratello.
“Dove
sono stato non sempre era possibile reperirne uno. Ti ho mandato qualche
cartolina, se non sbaglio” si limitò a rispondere Ikki, prima di chinarsi a
prendere la sacca da viaggio, ricoperta di targhette d’imbarco dei più svariati
paesi del mondo.
“Bentornato,
Ikki” esordì ad un tratto la voce di Lady Saori, mentre la giovane donna
scendeva le scale. Quell’incedere sicuro e delicato al contempo, che gli era
parso negli anni dell’infanzia un’altezzosa manifestazione di superiorità,
sapeva ora derivarle dallo spirito divino che risiedeva in lei.
“Salve,
Mylady” si limitò a rispondere, con il solito tono sbrigativo. “Se a voi non
spiace, preferirei continuare questa conversazione più tardi. Ho fatto diciotto
ore d’aereo e gradirei farmi una doccia rigenerante” proseguì poi. Un modo come
un altro per dire che, almeno per il momento, dei convenevoli di benvenuto
aveva fatto … il pieno.
Lady
Saori, il volto di fanciulla mutato in quello di una bellissima donna, sorrise
gentilmente al cavaliere. Oramai poteva di vantarsi di conoscere ogni pregio e
difetto dei suoi Saints.
“Ma
certo, Ikki. Ti ho riservato la solita stanza” rispose in tono gentile, prima
di voltarsi verso Nemes e chiederle “Ti spiacerebbe darmi una mano a smaltire
la posta odierna? Oggi non ho ancora avuto il tempo”.
“Certo
che no, Mylady. Ci vediamo dopo allora” rispose la giovane dai capelli dorati,
sorridendo a Shun e lanciando uno sguardo in direzione di Ikki che, sacca a
tracolla, aveva già iniziato a salire le scale. Era sconcertante, a pensarci
bene, che Ikki e Shun fossero fratelli. Così diversi non solo fisicamente ma, e
soprattutto, caratterialmente. Mite e solare Shun, a discapito del nome che
portava la sua armatura di bronzo “Andromeda la Notte”, mentre così cupo e
ombroso Ikki. Anche in quest’ultimo caso il contrasto con l’armatura che
indossava era stridente “Phoenix la Luce”.
Sembrava quasi un gioco del destino che i due Saints fossero preposti
alla custodia di vestigia all’opposto del loro carattere. Non poteva, in
effetti, dire di conoscere bene Ikki. Del resto nutriva il forte sospetto che
neanche gli altri Saints potessero vantarsi di avere compreso appieno il
carattere di quel ragazzo, ormai uomo. Sapeva, tuttavia, il fortissimo legame
d’affetto che univa il suo amato Shun al fratello e questo bastava a spingerla
a tentare, per lo meno, un approccio d’amicizia con il Saint della Fenice.
Ikki
chiuse gli occhi, beandosi della sensazione dell’acqua che scorreva, rapida,
sulla sua pelle a lavare via la stanchezza di quel viaggio. Con un gesto
meccanico raccolse il Doccia Schiuma, per poi prendere a lavarsi, con energia,
i muscoli del petto come a volerli rinvigorire dal torpore delle lunghe ore di
ozio al quale erano stati costretti. Il pensiero gli corse, per un istante, a
Shun. Aveva l’aria felice si ritrovò a considerare. Evidentemente aveva trovato
anch’egli la sua strada, forse era giunto realmente il momento che la smettesse
di preoccuparsi per lui e lo lasciasse “libero”. L’affetto che provava per il
fratellino minore aveva assorbito, di fatto, la sua esistenza, ad eccezione del
periodo in cui era asservito al male. Una smorfia di disappunto si dipinse sul
suo viso fin troppo vissuto. Aveva solo trent’anni, era nel pieno della vita,
eppure gli pareva di avere già “vissuto” troppo. Si sentiva stanco come un
vecchio, chissà se lo stesso valeva anche per gli altri. No, probabilmente no.
Ognuno di loro aveva, in un modo o nell’altro, ricominciato una vita normale,
sposandosi e mettendo su famiglia, come Shiryu. No, l’unico che era rimasto al
palo, che sembrava vivere esclusivamente nel ricordo era lui. Aveva accusato,
più di una volta, Shun di non decidersi a “crescere”, eppure l’unico a non
riuscire a dimenticare le battaglie, l’odore del sangue, la morte era lui.
Chinando lo sguardo osservò i palmi delle sue mani. Tutta l’acqua di questo
mondo non avrebbe potuto levare da essere il sangue innocente di cui si era
macchiato. Troppo vividi, nelle sua mente, i ricordi di quanto aveva compiuto
agli ordini di Arles. Odiarlo con tutta l’anima non era mai bastato, in tutti
quegli anni, a placare i suoi sensi di colpa e il rimorso per la morte di
lei…Esmeralda. Nemmeno vederlo morire, ai piedi della statua di Athena, gli
aveva tolto quel peso opprimente dal cuore. Come se non bastasse, l’armatura
stessa che indossava era un fregio di condanna. Lui era divenuto Cavaliere
della Fenice grazie alla morte di una ragazza indifesa, che si era sacrificata
per lui. Un’armatura che si trascinava dietro, in ogni luogo del mondo andasse,
perché era il suo dovere, affinché fosse possibile indossarla nuovamente in
caso di bisogno. Un’armatura che gli rammentava, ogni giorno, che il supplizio
dei ricordi per lui sarebbe stato molto più lungo di quello dei compagni.
Finché l’avesse avuta al suo fianco, lui, il Saint dell’Araba Fenice, sarebbe
risorto a nuova vita, sino al momento in cui la Dea Athena non avesse voluto
concedergli il riposo dell’Elisio.
Con un gesto
rabbioso, aumentò il getto dell’acqua, chinando la testa all’indietro e
lasciando che la cristallina linfa di vita lavasse via quei pensieri dalla sua
mente. Come diamine aveva fatto Shun a lasciarsi tutto alle spalle, eppure egli
stesso era stato provato da una terribile realtà, l’essere la reincarnazione in
persona del Dio degli Inferi. Hades stesso aveva preso possesso di quel corpo,
eppure il fratello pareva essere riuscito ad obliare tutto, perché solo lui non
ci riusciva?
Un lieve bussare
alla porta lo distolse da quei cupi pensieri. Senza fretta, chiuse il rubinetto
dell’acqua e, avvoltosi un asciugamano intorno alla vita, si avviò alla porta.
Era suo fratello.
“Scusami, Ikki.
Volevo solo avvertirti che la cena è pronta” disse il giovane, i cui occhi
verdi sprizzavano gioia e serenità.
“Mi vesto e scendo”
rispose, quasi meccanicamente, mentre lo vedeva annuire e sparire lungo il
corridoio.
Durante la cena,
Ikki ebbe modo di conoscere la futura cognata. Aveva un viso d’angelo, e
l’apparenza fragile di una eterea farfalla, ma i suoi occhi azzurri celavano
una ferrea forza di volontà, non per niente era una sacerdotessa guerriero
dell’Isola di Andromeda. Si rese immediatamente conto che la giovane cercava di
instaurare un minimo rapporto con lui, con tutta probabilità per far piacere a
Shun. Erano divertenti i suoi sforzi, così come l’espressione supplichevole di
Shun nei confronti del fratello, come a chiedergli di evitare risse verbali con
la sua compagna. Ikki ammise, con se stesso, di invidiare il fratello. Quando
erano giunti al dolce, dopo l’ennesima battutina salace del più smaliziato
cavaliere, il rossore dipintosi sulle guance di Nemes fece desistere Ikki dalla
sua opera di demolimento. Sentiva lo sguardo di rimprovero sia di Shun che di
Saori, e decise che era il caso di mettere fine alla sceneggiata. Alzandosi in piedi,
si limitò a dire.
“Essia, fratellino.
Se era la mia approvazione che cercavi, l’hai trovata. Vi auguro di essere
felici” sollevando il bicchiere di vino in un eloquente brindisi che lasciò
spiazzata Nemes, e fece arrossire Shun.
Senza attendere
repliche, Ikki posò il bicchiere e si avviò verso il patio, aveva bisogno di
stare un po’ da solo. Ora che Shun aveva trovato qualcuno con il quale dividere
il resto dei suoi giorni, il suo compito di fratello maggiore, di “angelo
custode” veniva meno. Ora poteva rivolgere a Mylady quella richiesta che da
tempo, ormai, alimentava nel proprio cuore. Attese paziente di vedere che la
luce nello studio della donna si accendesse, poi rientrò nella casa e risoluto
si recò da lei.
“Mylady. Posso
parlarle?” chiese, esitando un istante nel vano della porta, rimasta aperta.
Saori si volse a
studiare il volto del suo interlocutore. Sapeva che sarebbe andato da lei e
temeva, tutto sommato, di conoscerne le ragioni.
“Certamente, Ikki.
Siediti te ne prego” gli rispose dolcemente, indicandogli la poltroncina di
pelle innanzi alla scrivania. Ikki non se lo fece ripetere e, chiusa la porta
alle proprie spalle, si sedette.
Gli occhi viola
della donna parvero volergli sondare l’anima, ma Ikki sapeva molto bene che
Athena, per quanto potente, non avrebbe mai usato il suo “potere” per violare i
suoi pensieri più reconditi, e si sarebbe limitata ad attendere le sue parole.
Sapeva questo, come del resto era perfettamente cosciente che Athena conoscesse
già il desiderio che stava per esprimere.
“Sono venuto a
chiederVi un favore, Athena” esordì pertanto, in tono deciso e al tempo stesso
ossequioso.
“Parla, ti ascolto”.
Saori fremette sotto
quello sguardo blu come il mare in tempesta, dove si alternavano tristezza,
rimorso ed un profondo dolore. Era giunto il momento che da tempo, ormai
temeva, ne era certa.
“Vige la pace da due
lustri, ormai, Mylady. I Saints sono tornati ad una vita normale e il Grande
Tempio è in pace e prosperità. I tempi dell’oscurità sono lontani, ormai. Vi
prego, Athena. Liberatemi dal giuramento di Cavaliere. Lasciate che deponga
l’armatura della Fenice. E’ un peso che non riesco più a portare”.
Saori chiuse, per un
attimo gli occhi, come se fosse stata “ferita” da quella supplica. Sapevano
entrambi cosa Ikki le stava chiedendo. Lui non voleva condurre una vita
“normale”, lui voleva trovare la pace nell’Elisio, una pace che il suo spirito
tormentato, non riusciva a trovare in vita. Se lo avesse liberato dal
giuramento, egli avrebbe smesso di essere il Cavaliere della Fenice e sarebbe
tornato “mortale”. Se fosse stata convinta che Ikki avrebbe saputo ricrearsi
una vita “normale”, come avevano fatto gli altri cavalieri avrebbe anche potuto
concedergli quel favore, ma lei sapeva, intuiva, che non erano queste le
intenzioni dell’uomo che le sedeva di fronte. Come fare? Rifiutargli quel
“dono” era come tradire la fiducia con la quale, il giorno stesso in cui si era
liberato dagli influssi dell’oscurità, le aveva concesso, asservendosi a lei e
alla sua causa sino a morire per lei. Del resto non poteva neanche accettare di
perderlo. Aveva sofferto troppo quando aveva visto morire i suoi Saint d’Oro,
al Grande Tempio, senza poter fare niente per salvarli. Non voleva perdere
anche l’Araba Fenice….
^Athena, lasciate
che mi prenda cura io del suo spirito ferito, ve ne prego. E’ un dovere che
spetta a me^.
Saori sussultò, il
suo cosmo vibrava per quell’intercezione sovranaturale che ben conosceva. Uno
dei Saints Dorati cercava il contatto con lei dall’Elisio. Atrraverso il
proprio cosmo, Athena distinse immediatamente a quale cavaliere appartenesse.
Con un moto di sorpresa, ed al contempo indicibile sollievo, comprese che colui
che l’aveva contatta, forse, avrebbe potuto sanare le ferite del cuore di Ikki
meglio di quanto avrebbe potuto, o saputo, fare lei.
^Cavaliere, concordo
con la tua richiesta, ma non ho il potere per mettervi in contatto senza
sacrificare la sua vita, e questo non posso accettarlo^ rispose tuttavia,
razionalizzando che quanto il Saint Dorato le chiedeva era impossibile.
^Non sarà necessario
Athena, qualcun altro ha il potere per farlo. Concedete questo onore al custode
delle Porte di Hades. Al resto penserò io^.
^Essia, cavaliere.
Conto su di te^.
^Questa volta non
tradirò la vostra fiducia, mia Dea. Ve lo giuro^.
^Lo so^.
Ikki si stava
innervosendo, quanto occorreva ad Athena per decidersi a dargli una risposta?
Maledizione, e se non avesse voluto cedere alla sua supplica, se ritenesse che
ancora doveva rivestire il ruolo di custode dell’Armatura della Fenice? A ben
vedere, da dopo la lotta contro Hades, era rimasto anche il solo custode
dell’Armatura d’Oro del Leone, forse era quello a generare il dubbio e
l’esitazione di Athena. All’improvviso accadde. Senza alcun preavviso il cosmo
di Athena si espanse, travolgendolo. Un istintivo moto di autodifesa gli impose
di alimentare il proprio microcosmo, nel tentativo di arginare il caldo potere
della Dea, ma il medesimo era così mite e rassicurante che Ikki, immediatamente
rinunciò a qualsiasi forma di autodifesa.
^Ho avvertito la tua
supplica, cavaliere ed anche il tuo dolore. Non volermene, ma non posso
accettare di perderti, ma posso aiutarti a cancellare il passato…^.
Quelle parole
filtrarono attraverso il cosmo della Dea, direttamente alla sua mente, e furono
l’ultima percezione che avvertì prima di crollare al suolo, privo di sensi. Fu
così che Shun e Nemes lo trovarono, qualche istante dopo, piombando nella
stanza. Shun sbiancò in viso, chinandosi accanto al corpo esanime del fratello,
mentre perlacee lacrime iniziavano a solcargli il viso.
“Mylady, che cosa è
successo?” chiese sgomento.
“Tranquillizzati,
Shun. Tuo fratello sta bene. E’ solo privo di conoscenza. Questo perché il suo
spirito sta vagando in un percorso che lo condurrà, spero, verso la pace che
tanto desidera. Ma non temere, tra non molto si ridesterà e tuo fratello
rivedrà il tuo volto. Veglia su di lui, Shun, perché il percorso che si accinge
a fare sarà duro per lui”.
Shun non comprese
molto del discorso della donna ma, nutrendo una fiducia cieca nella Dea che
aveva giurato di servire, si limitò ad annuire, spiando il volto pallido del
fratello, mentre lo stendeva sul divano.
Freddo, sentiva
freddo. Questa la prima sensazione che lo pervase mentre, ancora stordito,
riprendeva coscienza di sé. Era disteso su un rigido e marmoreo triclinio
bianco, in un luogo che gli era totalmente sconosciuto. Il triclino ove giaceva
era posto all’interno d un ampio vestibolo, alla cui estremità si dipartiva un
lungo e bianco colonnato, che terminava innanzi a quella che, con tutta
probabilità, era una spessa porta d’alabastro intarsiato, tutt’intorno regnava,
esclusivamente una luce dorata e opalescente. Non parevano esistere pareti, o
limiti fisici a quello spazio, anche se avvertiva come una sorta di campo
energetico intorno a sé. Ma che diamine era successo? Rimembrava solo di
trovarsi alla Villa di Thule, con Lady Saori, e che all’improvviso il cosmo di
Athena lo aveva circondato, persuadendolo a desistere da ogni tentativo di
difesa. Che quello fosse il percorso, obbligato, per deporre per sempre le
vestigia della Fenice e tornare un essere “mortale”? Era confuso, doveva
ammetterlo, confuso e disorientato ed era una sensazione che non gli piaceva
affatto. All’improvviso, un’emanazione cosmica, splendente come una nova, si
materializzò a pochi metri da lui. Balzando repentinamente in piedi, Ikki
assunse un’istintiva posa di difesa, suggerita da lunghi anni di battaglie.
“Finalmente ti sei
ripreso” disse inaspettatamente una voce, mentre l’emanazione cosmica si
contraeva sino a delineare la sagoma, rivestita d’oro, di un cavaliere. Sgomento, Ikki riconobbe in
quell’aurea figura il volto di Shaka (Virgo) Saint dorato della 6^ Casa.
“Che diamine ci fai
tu qui?” furono le prime parole di Ikki, in un tono confuso quanto irritato.
“Conosco la 6^ Casa al Grande Tempio, di cui sei custode, e questo posto non le
somiglia affatto”.
Shaka, i perenni ed
enigmatici occhi chiusi, caratteristica inconfondibile del prodigioso Saint,
sorrise lievemente.
“Hai ragione, Ikki.
Questo non è il Grande Tempio, e non sei qui per mio volere. Io ho operato
semplicemente da intermediario tra il cosmo di Athena e questo luogo “ spiegò
pazientemente il biondo cavaliere, senza per altro fornire una reale risposta
agli interrogativi che affollavano la mente del Saint della Fenice.
“Puoi almeno dirmi
per quale ragione mi trovo in questo posto?” chiese questi, indicando con un
eloquente gesto della mano l’ampio vestibolo in cui si trovavano.
“Per incontrare me,
cavaliere” interloquì una voce, mentre una nuova emanazione di aurea e
purissima energia si manifestava innanzi agli occhi dei due cavalieri.
Ikki trasalì
violentemente, riconoscendo, all’improvviso, il volto del suo nuovo interlocutore.
“Saga!!!” esclamò
esterrefatto, distinguendo la sfavillante armatura del Cavaliere di Gemini, e
le fattezze del suo austero ed inviso proprietario.
“Bene, io vado Saga.
Tornerò, a tempo debito, per ricondurre Ikki nella sua dimensione” detto
questo, Shaka sparì nel nulla, presumibilmente sfruttando quel suo
straordinario potere, la telecinesi, che gli consentiva di spostarsi nel tempo
e nello spazio con rapidità sorprendente, lasciandoli soli, uno di fronte
all’altro.
Gli occhi azzurri di
Ikki si restrinsero, mentre studiava il volto pacato e tranquillo dell’uomo che
più aveva odiato in vita sua.
“Esigo una
spiegazione…. Arles”.
Il tono di Ikki era
secco, e vibrante, quanto lo schioccare di una frusta.
A quel nome, Saga
sussultò leggermente, mentre un lampo d’irritazione attraversava il suo sguardo
di zaffiro. Sentiva a pelle l’avversione, nei suoi confronti, del Cavaliere
della Fenice, e non poteva biasimarlo certo per questo.
“Athena è in
pensiero per te, Ikki” si limitò, tuttavia, a rispondere, senza evitare lo
sguardo accusatore del giovane.
“Ma non mi dire, e
da quando ti curi delle preoccupazioni di Athena?” fu la tagliente risposta di
Ikki. Che diamine stava succedendo? Perché Athena lo aveva posto innanzi al
Cavaliere di Gemini? Forse perché, nel bene e nel male, ad esso era legata la
sua investitura a cavaliere, ai tempi dell’addestramento? Era quello il prezzo,
ultimo, da pagare per affrancarsi dai suoi obblighi verso la Dea e il Mondo?
Saga non cedette
alla provocazione, ma ritorse la domanda.
“Hai ragione, Ikki.
Ma non sono stato il solo ad essere sordo al suo richiamo, anche se ammetto di
avere impiegato più tempo di te a rinsavire”.
Quell’affermazione
di Saga, espressa senza sarcasmo ma con la forza indefessa della verità, colpì
Ikki come una pugnalata. Maledetto, era stato lui la causa del suo sprofondare
nell’oscurità di un cielo senza stelle. Lui lo aveva mutato in un assassino,
assetato di sangue e potere.
“STAI ZITTO!!!”
urlò, mentre subitaneo il suo cosmo si espandeva, ad avvolgere il suo corpo e
l’area circostante, infiammando il suo sguardo di un’accecante desiderio di
vendetta.
All’istante il cosmo
dorato del Cavaliere di Gemini rispose alla sfida, sfavillando nella sua vasta
ed incommensurabile potenza.
“Fa male sentirsi
rinfacciare la verità, vero cavaliere?” chiese Saga, preparandosi a ricevere la
furiosa, e violenta, reazione dell’ex-allievo.
“Maledetto bastardo.
Hai reso la mia vita un inferno, ed hai ancora il coraggio di rinfacciarmi i
crimini che tu stesso mi hai indotto a commettere. Pagherai Arles, dovesse
costarmi la vita, te la farò pagare”.
Rabbia sorda,
violenta e cieca, ad offuscare i pensieri di Ikki, mentre il suo cosmo si
espandeva ulteriormente, ingaggiando, ancor prima del contatto fisico con
l’avversario, una lotta di pura energia con quello di Saga.
Pochi istanti e il
silenzioso ed immacolato luogo fu pervaso dai suoni inconfondibili della
battaglia. Saga, che si era mantenuto più freddo e distaccato, riusciva con
relativa tranquillità ad arginare gli attacchi furibondi e sconclusionati del
suo avversario, accrescendone la già evidente frustrazione. Purtuttavia, il
Cavaliere di Gemini non dava adito di voler rispondere agli attacchi, e si
limitava ad una serrata, quanto efficace, difesa.
^Sfogati, Ikki. Tira
fuori tutta la rabbia, il rancore, che covi dentro al tuo animo. Colpiscimi con
tutta la forza che hai in corpo, ragazzo. Farò di tutto per liberarti da questa
opprimente ossessione^.
Saga non aveva
intenzione alcuna di contrattaccare, avrebbe anche rinunciato a difendersi se
solo Ikki non avesse affondato i suoi colpi con tale violenza. Era cresciuto,
enormemente, dal loro scontro al Grande Tempio. Il suo potere era pari a quello
di un Gold Saint, non per niente si era fregiato, qualche anno prima, della
rilucente armatura del Saint del Leone. Aveva fatto molta strada nel suo
percorso di Cavaliere, ma si era arenato nella sua crescita come uomo. Spettava
a lui, come in passato, istruirlo sul percorso da seguire, e questa volta lo
avrebbe fatto per liberarlo dall’oscurità del dolore di quel baratro che egli
stesso, aveva contribuito a creare. Soffriva Saga, il suo spirito si ribellava
al dolore che i suoi poteri, straordinari e letali, gli permettevano di
percepire nell’animo dell’avversario. Un dolore, un devastante senso di colpa e
di inadeguatezza che faceva da contr’altare agli stessi sentimenti che covavano
nel suo animo. Avrebbe salvato quel ragazzo da se stesso, a qualunque costo.
Le lucenti “Ali
della Fenice” si librarono, violente e devastanti, contro il Saint Dorato. Saga
dovette ricorrere a tutta la propria esperienza, ed attingere ad ogni briciola
del proprio cosmo per arginare quell’attacco poderoso. Ikki, avvolto
dell’infuocato cosmo dell’Araba Fenice, sostava innanzi a lui, ansimante per lo
sforzo sostenuto ma con gli occhi carichi di una ferrea determinazione. In
quell’istante, Saga intuì che sarebbe stato difficile portare a termine il
piano che si era prefisso. Erano su un livello di combattimento paritetico,
solo l’esperienza faceva pendere la bilancia ancora, anche se per poco, dalla
sua parte, e su questo avrebbe dovuto puntare.
Fuori aveva appena
iniziato a piovere, e l’acqua si infrangeva, con sordi battiti, contro i vetri
della Villa. Shun, seduto accanto al divano, osservava preoccupato il viso del
fratello, e la sua innaturale
immobilità.
“Mylady, perché è
successo tutto questo? Per quale ragione Ikki sta compiendo questo “viaggio”? “
chiese ansioso, volgendo lo sguardo smeraldino verso la donna, che sostava
innanzi alla grande porta finestra, mentre Nemes, silenziosa, sedeva al lato
opposto del divano, con il volto serio e teso.
Saori, a quella
domanda diretta, si volse a fissare il volto confuso del proprio cavaliere.
Forse era giunto il momento delle spiegazioni.
“Shun, tuo fratello
mi ha fatto una richiesta alquanto insolita e non certo priva di conseguenze”
esordì pertanto, tornando a sedersi dietro la scrivania.
“Che genere di
richiesta?” chiese il giovane perplesso.
Saori prese un
profondo sospiro prima di rispondere.
“Mi ha pregata di
liberarlo dal suo giuramento di Cavaliere affinché potesse deporre, per sempre,
l’armatura della Fenice” spiegò alfine.
Shun trasalì,
colpito dall’affermazione della donna.
“Ma non capisco….
Perché?” chiese, decisamente confuso.
“Vedi Shun, per te Seiya,
Shiryu e Hyoga, le cose sono più semplici. In qualsiasi momento potete
abbandonare l’armatura e vivere una vita “normale”, farvi una famiglia,
crescere i vostri figli e, un giorno, morire” iniziò a spiegare Saori, in tono
grave. “Per Ikki è diverso. Fin tanto che indossera le vestigia della Fenice,
come l’uccello mitologico risorgerà perennemente dalle sue ceneri, ne consegue
che lui è “immortale”. Questo lo condanna a non potersi fare una famiglia,
giacché tutti coloro che ama moriranno, di fatto, prima di lui”.
Nemes e Shun
rimasero basiti innanzi alla portata di quella frase. Il primo a riprendersi fu
Shun che, mestamente, abbassò il capo ad osservare il corpo esanime del
fratello. Come aveva potuto essere così egoista da non comprendere il reale tormento
dell’animo di Ikki. Il suo atavico desiderio di isolarsi, di non legarsi
eccessivamente alle persone. UN pianto sommesso e silenzioso colse il Cavaliere
di Andromeda. Erano fratelli, eppure lui non aveva mai sospettato niente, non
si era mai posto il problema… già, in fondo non era lui che indossava le
vestigia della Fenice, ma se quel lontano giorno, a Nuova Luxor, Ikki non si
fosse offerto di partire al suo posto per l’Isola della Regina Nera, lui
avrebbe conosciuto quel destino.
“Gli concederete quanto
vi ha chiesto, Mylady?” chiese dopo un attimo, in tono spento e amareggiato.
Saori sorrise, un
sorriso dolce e comprensivo, mentre Nemes sfiorava, con la mano, le spalle del
compagno in un muto gesto di conforto.
“Non crucciarti per
il destino di Ikki, Shun. Sono consapevole del fardello che grava sulle sue
spalle e, non temere, quando sarà il momento gli concederò il riposo nei Campi
Elisi, ove si ricongiungerà con chi ha di più caro. Solo che non è questo il
tempo, giacché le ragioni che lo hanno spinto a tale richiesta le ritengo
sbagliate”.
Nel discorso di
Athena, giacché era la Dea adesso a parlare, Shun non riusciva a trovare
qualcosa che lo rincuorasse per la cecità che lo aveva ottenebrato per tutti
quegli anni.
!Mylady” intervenne,
quietamente Nemes “E’ per questa ragione che Ikki sta compiendo il “viaggio” di
cui ci ha parlato?”.
Shun alzò il viso,
in attesa della risposta della Dea.
Quest’ultima annuì,
brevemente.
“Ho concesso a Ikki
la possibilità di fronteggiare i fantasmi che gli oscurano l’animo, che lo
rendono infelice e ombroso. Forse, in tal modo, gli sarà più semplice reggere
il fardello che il destino gli ha posto sulle spalle, permettendogli di restare
ancora, a lungo, al nostro fianco”.
A quel punto, Shun
non poté fare altro che annuire. Athena aveva ragione, solo Ikki avrebbe potuto
trovare, dentro di sé, la forza per superare questo momento di difficoltà.
Nulla toglieva, purtuttavia, alla considerazione che d’ora in avanti avrebbe
dovuto essere un fratello diverso per lui e lesse, nello sguardo profondo e
sincero di Nemes, che lei lo avrebbe aiutato in quell’impresa.
Lo sfrigolio del
potere di Ikki, sospeso ancora in mille particelle, ad arroventargli le
vestigia dorate. Questa volta, il colpo della Fenice era andato a segno. Sentì
il sangue colargli dalla ferita sul labbro, ove il pugno dell’ex-allievo era,
alfine, risuscito a raggiungerlo.
“Sei migliorato,
Ikki. Devo ammetterlo. Ma non ancora abbastanza per potermi sconfiggere.
Dimentichi che io conosco il segreto di tutti i tuoi colpi, anche se debbo
confessarti che sono compiaciuto della resistenza e tenacia che stai
dimostrando. Sei un degno difensore di Athena”.
Ikki, risollevandosi
faticosamente in piedi, lanciò uno sguardo guardingo in direzione del suo
avversario. Saga era un cavaliere dall’abilità sconcertante. Con tutta
probabilità, insieme a Shaka e Muu era il più potente dei Gold Saints, se non
il più potente in assoluto. Di fatto, se al Grande Tempio non avessero riunito
le loro forze, non avrebbero potuto sconfiggerlo. Eppure c’era qualcosa di
anomalo nel cosmo che ora avvertiva. Era diverso da quello dell’avversario di
allora. Non c’era traccia di oscurità, era brillante come la maestosità di una
galassia. Si era gettato a testa bassa
in quello scontro, senza fermarsi a pensare allo scopo della sua presenza in
quel luogo sconosciuto, e soprattutto al perché Saga stesso lo avesse ivi
convocato.
L’incertezza dovette
trasparire dal suo viso, giacché Saga abbassò lentamente le braccia, lungo il
corpo, in una posizione di rilassatezza, pur mantenendo intatta l’emanazione
del proprio cosmo.
“Vedo che alfine la
ragione sta prendendo il posto dell’impulsività, cavaliere”.
Nessun’ombra di
scherno in quelle parole, solo pacata tranquillità.
Abbassando a sua
volta le braccia, pur permanendo con i sensi in allerta, Ikki studiò il volto
dell’uomo che aveva di fronte.
“Per quale dannata
ragione mi ritrovo in questo luogo, con te? Che cosa ha a che fare tutto
questo, con la richiesta che ho posto ad Athena?”.
Incredibilmente Saga
sorrise, un sorriso mite, che tanto contrastava con il ricordo che Ikki
preservava di lui.
“Athena è rimasta
turbata dalla tua richiesta, Ikki. Lei è convinta che tu sia intenzionato a
suicidarti, al fine di mettere fine ai sensi di colpa che ti stanno macerando
l’anima”.
“Che cosa?”.
C’era sincera
sorpresa nella voce di Ikki, mentre rifletteva sulle ultime parole che Athena
gli aveva rivolto, mentre avvertiva il suo cosmo avvolgerlo come in un
protettivo abbraccio.
*Ho avvertito la tua supplica, cavaliere ed anche il tuo dolore.
Non volermene, ma non posso accettare di perderti, ma posso aiutarti a
cancellare il passato…*
Allibito Ikki iniziò
a comprendere.
“Neanche
ammazzandoti riuscirei a cancellare il mio passato” sbottò esasperato. Perché
rivangare ricordi dolorosi e laceranti quanto una lama di coltello…
“So come ti senti.
Lo stesso rimorso divora me ogni giorno”.
Gli occhi di zaffiro
di Saga scintillavano di lacrime trattenute, mentre il volto si trasfigurava in
una maschera di profonda sofferenza. Suo malgrado Ikki ne rimase colpito.
“Tu vivi
nell’Elisio, non dovresti più avere coscienza della tua vita mortale” si
ritrovò, suo malgrado, a dirgli. Improvvisamente quanto, il nemico di un tempo,
aveva da dirgli gli pareva importante.
Il cosmo del Saint
di Gemini si spense, mentre questi si avvicinava lentamente, sino a sostargli
di fronte in modo tale che Ikki potesse leggere la verità dietro le sue iridi
sofferte.
“Il mio legame con
Athena non sarà mai spezzato e pertanto, io non perderò mai il ricordo della
mia vita mortale, di quello che sono stato e di ciò che ho fatto. Tu, Ikki,
come nuovo Saint del Leone avrai lo stesso destino. Nulla potrà cambiare il tuo passato, ma il futuro è
esclusivamente nelle tue mani. Sta a te viverlo meglio del presente, imparando
a convivere con ciò che ti porti dentro”.
Il peso di quella
realtà rischiò di annientare Ikki. Athena aveva visto giusto, lui aveva cercato
una via di fuga al tormento, sperando di trovarla nell’oblio dei Campi Elisio
ma la realtà che gli stava ponendo innanzi Saga, ridimensionava ogni sua
speranza di trovare, finalmente, pace.
“Io sono
responsabile del tuo dolore, Cavaliere della Fenice. Ma mi è fatta facoltà, per
i poteri mentali di cui dispongo, di cancellare i ricordi dolorosi dalla tua
memoria. Concedimi di farlo Ikki, dando pace ad entrambi”.
Il tono di Saga era
pacato e suadente. Stava offrendo al giovane cavaliere una possibilità,
concreta, di liberarsi degli angosciosi ricordi che lo tormentavano… Ma non aveva fatto i conti con l’astio che
covava nell’animo di Ikki. Un violento gancio si abbatté sulla mascella del
Saint di Gemini, sbilanciandolo e facendolo finire a terra, ad un paio di metri
di distanza.
“Che tu sia dannato,
non ti permetterò di manipolare ancora la mia mente” tuonò il Saint della
Fenice, mentre il suo cosmo riluceva, più vigoroso che mai. Saga non fece
neanche in tempo a rimettersi in piedi che Ikki gli era già addosso, colpendolo
ancora duramente, facendolo finire violentemente contro una colonna. Lo sguardo
di Saga era carico di dolore mentre, senza opporre la benché minima resistenza,
incassava i colpi dell’avversario che non facevano male quanto la sensazione di
devastante dolore e furia che percepiva nel suo animo, di cui sapeva perfettamente
essere l’unico artefice. Quando la terribile furia distruttrice di Ikki si
placò, il cavaliere di Gemini era ricoperto di ferite e lo sguardo azzurro,
fissava mite e infinitamente triste il volto contratto dalla rabbia e dalla
frustrazione del giovane. Con il dorso della mano si pulì il sangue dal viso,
prima di chiedere quietamente.
“Ti senti meglio,
ora?”.
Ikki, innanzi alla
sorprendente arrendevolezza del Gold Saint, si sentì improvvisamente svuotare
da ogni velleità combattiva.
“Va all’inferno,
Arles. Non mi sento per niente meglio” bofonchiò dopo un istante, appoggiandosi
stancamente, con la schiena, ad una colonna, poco distante.
“So che cosa
tormenta i tuoi sogni, cosa ti spinge ad evitare il contatto con gli altri, ciò
che ti impedisce di sentirti “normale”. Gli stessi incubi, lo stesso tormento,
perseguitano anche me, con una differenza..” iniziò a dire Saga, lo sguardo
puntato verso il cancello di alabastro, ma in realtà il suo sguardo andava ben
oltre... Ikki non disse niente, limitandosi ad ascoltare, in silenzio.
“In me, per molto
tempo, sono convissute due entità distinte, il cavaliere che hai innanzi e …
Arles. Ogni cosa che egli ha compiuto, ogni vittima caduta per sua mano, io
l’ho vissuta come… mia, incapace di fermarlo. Ero presente quando ha plagiato
la tua mente, quando ha manipolato quella del Maestro dei Ghiacci e poi di
Aioria. Ero presente quando tentò di accoltellare Athena. Quei ricordi sono
indelebili nella mia mente e mi perseguitano tanto quanto l’indifferenza e il sospetto
degli altri Gold Saint. Anche ora, nell’Elisio, non riesco a trovare pace. Poco
importa che abbia ottenuto il perdono di Athena, per i miei stessi compagni,
rimango e resterò… colpevole. Tu non sai cosa significa vedere la rabbia e il
sospetto negli occhi di colui che ti fregiavi di chiamare, amico”.
A
quell’affermazione, Ikki, si voltò ad osservare il volto insanguinato del
cavaliere. Cominciava, vagamente, a comprendere la sofferenza che doveva
albergare nell’animo di Saga, e questo non lo lasciava, come avrebbe invece
creduto, indifferente.
“Così è con Aioros,
del cui sangue sono macchiate la mie mani. Poco importa che a risvegliare Arles
sia stato mio fratello Kanon, io mi sono macchiato dei crimini commessi, nessun
altro” proseguì Saga, il tono mesto e rassegnato, mentre calde lacrime rigavano
il suo volto. Il volto non già di un feroce assassino ma, piuttosto, di un uomo
devastato dal rimorso, addolorato e pentito. Ikki si lasciò scivolare a terra,
al suo fianco, mentre lo stesso dolore e rimorse attanagliava il suo cuore al
ricordo di Esmeralda.
“Io… sono stato
anche peggio. Ho ucciso la donna che amavo…” biascicò, mentre gli occhi gli si
riempivano di lacrime, disperatamente trattenute. Detestava quell’assurda
manifestazione di debolezza, anche ora. Saga gli posò una mano sulla spalla,
intimamente felice nel constatare che non si era scostato. Finalmente era
riuscito ad instaurare un dialogo con lui. Ora, Ikki, era disposto ad
ascoltarlo, lo sentiva.
“No, ragazzo. E’
stata lei a scegliere di sacrificarsi per salvarti. Gli uomini sono dotati di
libero arbitrio, tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro, visto che ti sei
sempre fregiato di essere l’artefice delle tue decisioni, indipendentemente dal
voler del destino. Esmeralda è morta per te, e sono certo che lo rifarebbe
ancora, perché lei aveva fiducia in te. Devi essere fiero di averla incontrata
e che una ragazza di tale coraggio e valore ti abbia amato. Se rinuncerai a
combattere, per una vita normale, tradirai la sua fiducia. Tu hai ancora speranza,
un futuro” proseguì Saga, comprendendo, nel profondo, il suo tormento più
grande del giovane. Lo vide serrare i pugni con forza, sino a conficcarsi le
unghie nei palmi, ferendosi.
“Vorrei che te ne convincessi. Ikki. Non solo
Esmeralda credeva in te, anche Athena, Seiya, Shiryu e Hyoga e tutti i Gold
Saint, nessuno escluso. Il legame che ti lega a Shun poi, è così profondo da
superare il mio potere e quello di Hades, una divinità. Le vestigia d’oro del
Leone ti hanno riconosciuto come Cavaliere di Athena, di Giustizia. Nessuno ti
guarda con sospetto. Solo tu. Non potrai mai essere diverso da quello che sei
in battaglia, è la stessa armatura della Fenice e il tuo carattere irruente, a
spingerti ad uccidere il tuo avversario. Tuttavia non sei una macchina di
morte. Non avresti voluto uccidere Mime, ed hai sofferto per questo, ed hai
rifiutato la lotta contro Bud (Alcor gemello di Mizar God Warriors di Asgaard),
quando hai compreso che non era un nemico. Pensa a tutto questo, Ikki, e
lasciati il passato alle spalle, non puoi mutarlo ma puoi essere artefice di un
futuro diverso, ora dipende solo da te”.
Detto questo si
levò, faticosamente, in piedi. Il suo compito era finito. Non poteva fare altro
per Ikki, ne per se stesso.
“Saga”.
Questi si voltò
lentamente, abbassando lo sguardo, fissando il volto del suo interlocutore. Era
la prima volta che lo chiamava con il suo nome, constatò perplesso.
“Dimmi”.
“Non ti chiederò
perdono per le botte che ti ho rifilato, cavaliere. Ho solo una cosa da dirti.
Non hai ottenuto il perdono di Athena”. Il tono di Ikki era fermo e convinto.
Un lampo di dolore attraversò le iridi di Saga, ma fu solo un attimo, un
battito di ciglia, e nuovamente un’espressione di rassegnata pacatezza
rasserenò i suoi tratti.
“Ne sono
consapevole” si limitò a dire. “Ora chiamo Shaka, è tempo che tu torni da lei”
concluse poi, iniziando a concentrare il proprio cosmo. Pochi istanti e il
Cavaliere di Virgo fece la propria comparsa, mentre un sopracciglio si
innarcava in un’insolita espressione perplessa.
“Denoto che avete
creato un bel trambusto” si limitò a commentare.
Ikki si lasciò
sfuggire un sorriso ironico. Quel diavolo di Shaka, vedeva meglio con gli occhi
chiusi che quando li teneva aperti.
“Sai com’è. Un
semplice scambio di opinioni” fu la sibillina risposta che gli concesse mentre,
con la coda dell’occhio, osservava il sorriso complice del Saint della 3^ Casa.
Shaka non fece commenti. Qualcosa, nella strana atmosfera che i suoi raffinatissimi
sensi percepivano, gli diceva che un ampio e conflittuale chiarimento aveva
avuto luogo tra i due compagni.
“Vieni, Ikki. Ti
riconduco nella tua dimensione, nel tuo tempo” disse conciliante, tendendo una
mano verso il cavaliere che, con passo sicuro gli si avvicinò.
“Ah, Saga. Mi ero
scordato di dirti una cosa” disse Ikki, prima di svanire nel nulla, insieme al
Cavaliere di Virgo.
^Athena non ti ha
perdonato, non ce n’era bisogno perché lei ha sempre creduto in te^.
Quelle parole, Saga
le percepì direttamene nella sua mente. Come diamine aveva fatto Ikki a ….
Un sorriso, questa
volta compiaciuto e di sollievo, si delineo sulle labbra del Cavaliere di
Gemini, mentre un po’ di luce rischiarava le iridi azzurre dei suoi occhi.
“E bravo, cavaliere
della Fenice. Così ti è riuscito di usare il “Fantasma Diabolico” contro il tuo
stesso maestro. Ora siamo pari…. Forse”. In un turbine dorato, il Saint di
Gemini svanì, raggiungendo il suo posto nei Campi Elisi, da dove era
fuoriuscito per quella “missione” che si era rivelata … speciale.
Un lieve gemito, il
contrarsi dei muscoli intirizziti del proprio corpo, poi gli occhi lentamente
si aprirono. La prima cosa che vide fu lo sguardo preoccupato di Shun, proteso
su di sé.
“Ikki, fratello. Ti
senti bene?” gli chiese ansioso il giovane.
Ancora disorientato
per il viaggio dimensionale, e per l’esperienza appena vissuta, Ikki impiegò
qualche istante a riordinare le idee,
mentre lo sguardo scorreva rapido intorno alla stanza, portandolo a riconoscere
la presenza di Nemes e di Lady Saori. Con un gesto deciso, allontanò la mano di
Shun, mettendosi a sedere.
^Prima un triclinio
di marmo ed adesso un comodo divano di pelle. Devo ammettere che preferisco
questa alternativa, alla precedente^ commentò, tra sé, non senza ironia.
“Certo che sto bene,
Shun. Che domande. Non si può neanche dormire in questo posto?” sbottò deciso.
Non era certo intenzionato a subire un terzo grado da parte del fratello su
un’esperienza che, a dirla tutta, oltre ad averlo scosso, lo aveva lasciato
alquanto frastornato e perplesso. A conti fatti si domandava se era morto per
poi tornare, nuovamente in vita, com’era solito fare o se semplicemente il suo
spirito si era separato, temporaneamente, dal corpo per un viaggio
ultraterreno. Non che avesse molta importanza, comunque. Certo che Athena
avrebbe potuto almeno avvertirlo delle sue intenzioni, ma visto il risultato di
quel “viaggio”, tutto sommato sentì di poterle abbonare quella lieve mancanza.
Un po’ spiazzato
dalla risposta del fratello, Shun si fece da parte.
“Non ricordi
niente?” si azzardò a chiedere, scambiando uno sguardo eloquente in direzione
di Saori.
Ikki nutrì il
sospetto che Milady avesse rivelato qualcosa, di ciò che era successo, al
fratello ma, almeno per il momento, non era disposto ad affrontare l’argomento,
con nessuno.
“Perché? Che diamine
dovrei ricordare? Parola mia, Shun, quest’idea del matrimonio ti sta facendo
uscire di senno. Ero stanco ed ho schiacciato un pisolino, è forse un
crimine?”.
Shun fissò perplesso
il volto volitivo del fratello. Qualunque cosa fosse accaduta, era palese che
Ikki non voleva condividerla con nessuno. Inutile forzargli la mano. Oppure,
semplicemente, non ricordava l’accaduto. Poteva anche essere una spiegazione
plausibile. Ne avrebbe discusso più tardi con Lady Saori, per il momento decise
di desistere e non fece altre domande.
“Scusami. Solo che
non riuscivo a svegliarti. Evidentemente il cambio di fuso orario ti ha dotato
di un sonno estremamente pesante” si
limitò a commentare, passandosi una mano tra i capelli.
Ikki aggrottò le
sopracciglia, cercando di vagliare la ragione di quella diplomatica esposizione
dei fatti. Avrebbe chiesto a Mylady spiegazioni al riguardo, ma non adesso. Si
sentiva improvvisamente, e questa volta sul serio, molto stanco.
“Bhè, visto che
avete interrotto il mio riposo sul divano, cercherò di ritrovarlo nella mia
camera. A domani”.
Fece per
allontanarsi, ma Saori lo precedette con una domanda a bruciapelo.
“Dato che ti sei
addormentato nel mio studio, non è che per caso mi stavi aspettando per
chiedermi qualcosa?”.
Queste furono le
parole che uscirono dalle labbra di corallo della lady, ma altra fu la domanda
che percepì attraverso il proprio cosmo. Con un sorriso ironico, si affretto a
rispondere all’una e all’altra.
“No, Mylady. Ho
considerato che il vostro divano fosse particolarmente comodo per riposare le
mie stanche membra, se ho commesso una mancanza, ve ne chiedo perdono”.
Un lampo di pura
felicità attraversò le iridi d’ametista della donna, mentre gli passava al
fianco, facendo cenno a Nemes e Shun di uscire, con loro, dalla stanza.
“Nessuna mancanza,
cavaliere. Sono lieta che tu abbia trovato riposo, non ha importanza dove”.
Un sorriso complice
passò tra i due, mentre Shun, intercettandolo, tirò un sospiro di sollievo.
Qualunque fosse stato il viaggio che Ikki aveva appena affrontato, tutto era
andato per il meglio.
Circa sei mesi dopo,
l’ovattato silenzio di un austero tempio greco accolse il passo felpato di un
cavaliere. Le mura candide e l’aurea di pace di quel luogo pervasero l’animo di
Ikki. Con determinazione si avviò verso quello che sapeva essere il “sacrarium”
ove riposava, su una colonna di aureo metallo, il cloth dorato di “Gemini”. Non
era la prima volta che si recava in quel tempio, ad essere onesti, gli capitava
di farlo ogni qual volta sentisse il desiderio di isolarsi per un po’. Dal
lucernaio, posto esattamente in perpendicolare rispetto all’armatura, filtrò un
pallido raggio lunare. Le vestigia scintillarono, nell’oscurità del tempio,
attirando l’attenzione del giovane.
“Ogni giorno che
passa, avverto i ricordi impallidire, lentamente, mentre quello di Esmeralda è
caldo e forte nel mio animo, anche se non rimembro più l’istante della sua
perdita. E’ opera tua, vero Saga? Ed io che pensavo di essere riuscito a
fregarti, insinuandomi nei tuoi pensieri con il “Fantasma Diabolico”.
L’allievo, a quanto pare, non ha ancora superato il maestro”.
Come a rispondere a
quelle parole, pacate e sussurrate al vento, l’armatura di Gemini emise una
lievissima emanazione cosmica che illuminò, per un istante, l’intera stanza.
“Ikki, sei qui?”.
Quella voce
l’avrebbe riconosciuta tra mille. Seiya, evidentemente, non era riuscito a
starsene tranquillo nella 9^ Casa, neanche quella sera.
“Che cosa c’è?”
chiese, avviandosi verso l’ingresso, per incrociare lo sguardo perplesso del
compagno.
“Parola mia, Ikki.
Tu sei proprio strano. Sei il Cavaliere del Leone” brontolò, additando le
vestigia dorate che ricoprivano il corpo scultoreo dell’amico “Eppure passi più
tempo qui, nella casa di Gemini, che nella 5^ che ti spetta di diritto”.
“Senti chi parla. E
tu, non trascorri forse più tempo nella bicocca di Shaina piuttosto che nella
9^ Casa di Sagitter?” ritorse sarcastico, divertito dell’improvviso rossore che
aveva imporporato il volto dell’amico.
“Al diavolo te e il
tuo sarcasmo, Ikki. Per la cronaca, nella “tua” casa c’è un’agitata
sacerdotessa guerriero che ti cerca”.
Seiya si era, da
tempo, stufato di ribattere alle frecciatine dell’amico al riguardo della sua
relazione con il Silver Saint dell’Ofiuco (Shaina).
All’affermazione del
compagno, Ikki si accigliò.
“Cassiopea?”. Poi,
prima che Seiya potesse dire o fare qualcosa si era già lanciato fuori dalla
stanza, avviandosi di corsa lungo la scalinata che conduceva al Grande Tempio.
Un sorriso divertito
si delineò sulle labbra di Seiya, mentre si fiondava al suo inseguimento,
chissà perché era convinto che primo o poi anche Ikki avrebbe fatto qualche
visita notturna al quartiere delle Sacerdotesse Guerriero, in fondo, era umano
anche lui…no!